6.5
- Band: DEATH SS
- Durata: 00:59:12
- Disponibile dal: 21/03/2006
- Etichetta:
- Lucifer Rising
- Distributore: Self
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Quarto episodio della nuova incarnazione dei Death SS, venuta alla luce con lo strepitoso “Do What Thou Wilt” e caratterizzata dal determinante contributo in fase di arrangiamento del talentuoso Oleg Smirnoff, “The 7th Seal” è in realtà la nuova tappa di un percorso più ampio, ormai quasi trentennale, sul quale si ritrovano le orme di una band che, nella buona e nella cattiva sorte, non ha mai smesso di coltivare un approccio strettamente personale all’heavy metal. Rispetto a “Humanomalies”, che poggiava le proprie basi su un concept legato alla deformità, il nuovo “The 7th Seal” ritrova l’impronta esoterica da sempre fondante nel retroterra concettuale del gruppo e analizza l’idea della fine, della dispersione, sia che si tratti della piccola morte dell’assenzio (“Absinthe”) che dell’estinzione del dannoso (Steve canta addirittura il verso “Life is a mistake”) genere umano. Musicalmente le cose sono più complicate del previsto. Tra i tanti volti mostrati dai Death SS nell’ultimo decennio il disco sembra prediligere quello emerso nei brani più orecchiabili degli ultimi due album; ecco dunque che episodi come “Give ‘em Hell” o “Shock Treatment” rivelano palese l’influenza melodica dell’hard rock anni ’80. I ritornelli funzionano e l’onnipresente tastiera disegna scenari efficaci, ma il confine con la ruffianeria sembra spesso divenire labile e l’atmosfera lugubre che si vorrebbe propria dei Death SS non sempre riesce a farsi spazio negli ingombranti chorus. “The 7th Seal”, però, vive anche di grandi individualità. “The Healer”, o la doppietta vagamente settantiana “Heck Of A Day”/ “S.I.A.G.F.O.M” non sfigurano se affiancati ai migliori brani della band, ma è la conclusiva title track che davvero splende; l’incedere epico-progressivo, l’andamento da mini-suite, la perfetta simbiosi tra testo e suono segnano il passo di una band che ha ancora molto slancio su cui contare. Un disco riuscito a metà, fatto di brani straordinari ed altri meno ispirati; “Black Mass” e “Do What Thou Wilt”, album diversi fra loro ma in grado di sintetizzare splendidamente lo spirito dei Death SS, restano ancora i dischi da battere.