7.5
- Band: DEATHCULT (CH)
- Durata: 00:44:38
- Disponibile dal: 28/01/2022
- Etichetta:
- Invictus Productions
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Ispirati da un coacervo di sonorità tipicamente anni Ottanta e primi Novanta, i Deathcult sono da sempre una realtà fieramente ‘old school’ tanto nella forma quanto nei contenuti. Più si ascolta la loro musica, più ci si domanda se il gruppo svizzero sia autore di un thrash metal estremo fortemente imparentato con il death metal, oppure se si tratti di death metal dal notevole retaggio thrash. Sottigliezze, a ben vedere, ma la proposta a volte è talmente assortita e spesso equamente giostrata fra questi due filoni da innescare tale riflessione.
In ogni caso, “Of Soil Unearthed”, secondo album della band, è qui per confermare sia l’indirizzo stilistico che le ambizioni di M. Goathammer e soci, dato che il risultato è ancora una volta un insieme di canzoni che, pur nel loro estremismo, provano a seguire percorsi visionari, concitati e poi dilatati, prendendo angolature spesso imprevedibili, di brano in brano e all’interno dello stesso, con riff e ritmiche che cambiano direzione all’improvviso. Sin dagli inizi, una delle maggiori peculiarità dei Deathcult è stata la notevole durata media delle composizioni, a volte vicine a canoni da suite, anche se tale termine solitamente suggerisce episodi dal taglio solenne ed elegante. Il quartetto elvetico chiaramente non ha simili mire, ma è evidente come la sua tendenza a impilare riff su riff porti a risultati ben più massicci e impegnativi rispetto all’operato della death-thrash metal band media.
Ancora una volta i Deathcult dunque non si risparmiano, dando una prova di feroce attaccamento alla causa, dove tutto è appunto giocato sull’equilibrio fra furia nell’esecuzione e una certa ricerca a livello di strutture. Non ci si ritrova mai al cospetto di geometrie sonore realmente sorprendenti, ma la densità di pezzi come “On Primal Wings” e “Alastor” eleva l’ascolto a qualcosa di più di una sessione di headbanging, facendo intendere anche uno dei motivi per cui siano trascorsi quasi sei anni tra questo nuovo lavoro e il debut album “Beasts of Faith”. Forse al quartetto talvolta manca il guizzo definitivo, il colpo di genio che lo metta nelle condizioni di firmare un disco totalmente da ricordare, ma l’impressione è che i Deathcult abbiano comunque ancora molto da dare. Per chi ha regolarmente tra i propri ascolti primi Death, Grave, Autopsy, Sodom e Protector, un nome da mettere nella lista degli ascolti.