6.5
- Band: DEATHHAMMER
- Durata: 00:31:35
- Disponibile dal: 05/10/2018
- Etichetta:
- Hells Headbangers
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Perché di quanto accaduto dopo il 1985, a loro non frega nulla. Perché di metabolizzare modi lievemente più moderni di intraprendere e masticare l’heavy metal, non gli importa. Perché, in fondo, di compiacere chi non abbia il medesimo background e le radici nel metal più ruspante e viscerale, non gli interessa minimamente. L’essenza dei Deathhammer, due marcissimi figuri dai nomi di battaglia di Sergeant Salsten e Sadomancer, adorati da Fenriz, è una poltiglia fumigante di speed metal, classic metal a quarantacinque giri, thrash primordiale, proto-black e death metal, sozzeria punk, che non ha subito alcun tipo di modifica dal primo album “Phantom Knights”, uscito ormai otto anni fa, all’odierno “Chained To Hell”. Il formulario, rinomato nell’underground e per nulla incline anche solo a saltuarie modifiche, fosse solo per brevi intermezzi o estemporanee fughe fuori dal proprio rassicurante alveo, prevede brani tiratissimi e convulsi, disordinati nelle dinamiche, eccessivi in ogni singolo aspetto, pendolanti fra Slayer, Exodus, Celtic Frost, Sodom, Destruction e Venom. Per tutti questi nomi, è bene pensarli nelle prime fasi di carriera, quelle della scapestrata giovinezza, perché di qualsiasi raffinamento abbiano goduto in seguito i Deathhammer non tengono conto.
“Chained To Hell” è un omaggio a bei tempi andati che non torneranno mai, fatti di invocazioni demoniache proferite con beata noncuranza e senza un briciolo di vera malignità, riff semplici sparati a ritmi indiavolati, ganci melodici piazzati dove chiunque se li aspetterebbe ma, nonostante ciò, capaci di catturare l’attenzione e far scapocciare di gusto. A seconda dei pezzi, si omaggiano pietre miliari come “Bonded By Blood”, “Show No Mercy”, “Deathcrush”, “In The Sign Of Evil”, a volte arrivando al limite del plagio. La forza della band norvegese sta nella genuinità dirompente con cui si pone, mettendola sul puro divertimento, senza pose altezzose o tentazioni di essere qualcosa di diverso di appassionati follower. L’aspetto di maggiore goduria è probabilmente da rinvenirsi negli intrecci solisti, che avrebbero potuto comparire in alcune pubblicazioni di rilievo degli anni ’80 senza suonare fuori luogo. Il songwriting rimane semplicissimo come d’usanza ed è arduo rilevare alcun tipo di differenza con i full-length precedenti. “Chained To Hell” è rivolto solo a metallari vecchia scuola che provano disgusto per tutto ciò che sa di modernità: per costoro, ogni nuova pubblicazione dei Deathhammer è una gradita ricorrenza.