8.0
- Band: DEATHSPELL OMEGA
- Durata: 00:45:18
- Disponibile dal: 24/05/2019
- Etichetta:
- Norma Evangelium Diaboli
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Avantgarde, ‘post’, religious black metal. Definizioni utilizzate come contenitori nel vano tentativo di inquadrare e dare forma all’inclassificabile. Perché se si decide di analizzare l’operato del progetto Deathspell Omega, tra le realtà più influenti e imitate dello scenario extreme metal degli anni Duemila, la conclusione a cui è possibile giungere è sempre la stessa: Mikko Aspa e soci non conoscono altri termini di paragone al di fuori di loro stessi, e come tali vanno affrontati, rinunciando in partenza a qualsivoglia operazione mentale e semantica.
Ecco quindi che il nuovo “The Furnaces of Palingenesia”, annunciato e rilasciato pressoché a sorpresa dalla roccaforte Norma Evangelium Diaboli, appare da subito come l’ennesima stella di un firmamento che non è il nostro; una luminescenza malefica in un universo di caos e riverberi destabilizzanti, la cui capacità di manipolare e destrutturare il metallo nero non teme rivali all’interno della scena. Basterebbero i due minuti dell’opener “Neither Meaning nor Justice”, deviata e rarefatta come una processione funeraria sotto acidi, per inquadrare la natura avulsa da regole della tracklist, il cui oscillare tra pieni e vuoti, contorsioni impossibili e momenti di puro abbandono si concretizza in un suono che già con la successiva “The Fires of Frustration” divampa in un incendio di rara visionarietà e forza distruttrice. È questo gioco di transizioni e chiaroscuri, racchiuso in scelte di produzione affatto scontate, il leitmotiv di un’opera che, se da un lato non si spinge oltre le vette stilistiche dei precedenti “The Synarchy of Molten Bones” e “Paracletus”, dall’altro esprime in ogni suo movimento un talento fuori dal comune, una visione lucidissima su un’Apocalisse ormai prossima a compiersi, di cui il gruppo francese è officiante e messaggero. Asciugate le strutture dei brani rispetto a quelle dei loro primi capolavori, nel 2019 i Deathspell Omega si confermano innanzitutto una realtà pratica e concreta, distillando in una formula fluida e mordace la pletora di spunti che ne costituiscono il background. Prog rock corrotto dalla scabrezza del black, parentesi jazzate immerse nelle atmosfere di un rito proibito, una voce che non è né growling né screaming a risuonare nell’aria come un cachinno diabolico, per una serie di composizioni una più audace e varia dell’altra.
A fronte di un simile risultato, sintetizzato magnificamente dalla chiamata alla rivolta di “Ad Arma! Ad Arma!”, dai rintocchi melodici di “1523” e dalla conclusiva, decadente “You Cannot Even Find the Ruins…”, non resta che genuflettersi e prepararsi all’avvento del Male.