6.5
- Band: DECAPITATED
- Durata: 00:37:13
- Disponibile dal: 27/05/2022
- Etichetta:
- Nuclear Blast
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Fughiamo subito ogni dubbio: i Decapitated hanno mantenuto le promesse fatte nell’ultimo paio d’anni, accantonando i toni smorzati e confusi di “Anticult” e tornando ad esprimersi su registri più intensi e aggressivi? La risposta è sì. Questa operazione si è tradotta in un recupero dell’estetica estrema e sperimentale di un tempo, la stessa che – partendo dagli insegnamenti di Suffocation, Morbid Angel e Meshuggah – ha saputo rendere i lavori pubblicati fra il 2000 e il 2006 dei veri e propri classici? Su questo punto, ahinoi, ci tocca smorzare le speranze e l’entusiasmo dei fan di lunga data, i quali comunque, con ogni probabilità, si saranno già fatti la loro idea ascoltando il singolo “Hello Death”, marchiato dalla collaborazione con Tatiana Shmayluk dei Jinjer.
Anche nel 2022, Vogg e compagni mantengono i piedi saldamente ancorati al death/thrash moderno e standardizzato attorno al quale è stata ricostruita la loro carriera da “Blood Mantra” in avanti, e da questa constatazione non si può prescindere; il passato è passato, e troppe cose sono successe da quello sciagurato ottobre 2007 per credere che possa in qualche modo ripresentarsi nelle medesime forme e sembianze. Appurato ciò, è lecito comunque godersi “Cancer Culture” per quello che è, ossia un’onesta ripresa dopo la sbandata del lavoro citato in apertura, durante il quale i Nostri tornano a pestare con insistenza e convinzione grazie ad un songwriting mediamente schietto e concreto, da cui si palesa l’effettiva volontà del leader/chitarrista di cimentarsi in qualcosa di più brutale e spontaneo rispetto a certi azzardi del recente passato. Non si partoriscono più gemme come “Spheres of Madness”, “The Fury” o “Day 69”, ma alcune strizzate d’occhio efficaci ai Sepultura pre-“Roots”, ai Fear Factory di “Soul of a New Machine” e agli stessi Meshuggah non mancano, con ritmiche che tornano finalmente a regalare bei tappeti di doppia cassa accompagnati da qualche scarica di blast-beat e con un riffing che, senza lanciarsi in chissà quali evoluzioni o carneficine, evita la strada della linearità e della faciloneria a tutti i costi (chi si ricorda “Kill the Cult”?).
Questo ovviamente non significa che la tracklist sia esente da scivoloni o momenti interlocutori: il featuring di “Hello Death”, ad esempio, appare forzato, superfluo e studiato a tavolino per intercettare il sempre più vasto seguito della band ucraina; “Iconoclast” omaggia fin troppo platealmente le istanze groove dei Machine Head, e non a caso impegna Robb Flynn in uno dei suoi tipici crescendo in voce pulita, mentre il lato B dell’opera incappa sia in episodi lasciati vagamente al caso (la tirata e brevissima “Locked”), sia in fraseggi chitarristici anonimi che, non fosse per l’eccellente produzione a cura di David Castillo e Ted Jensen (fra gli altri), lascerebbero davvero poco nell’ascoltatore.
In definitiva, “Cancer Culture” ci presenta sì una band intenta a rialzare la testa e che non faticherà a riscuotere un certo consenso, specie tra il pubblico che ha iniziato a seguirla nell’ultimo decennio, ma non smorza il rimpianto verso una scelta stilistica ormai consolidata, nella quale il genio e l’intraprendenza di un tempo si scorgono sempre più a fatica. A voi decidere se soprassedere o meno su quest’ultimo punto.