8.0
- Band: DECEASED
- Durata: 00:55:10
- Disponibile dal: 30/08/2024
- Etichetta:
- Hells Headbangers
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Se c’è una band per la quale risulta impossibile affibbiare un’etichetta chiara e precisa, questa si chiama Deceased. La creatura americana di Kingsley ‘King’ Fowley, ormai annoverata tra le realtà cult del panorama metal mondiale, si è infatti ritagliata questo preziosissimo ed eclettico ruolo, grazie alla sua capacità di generare un’autentica e singolare polveriera di death, thrash and heavy, riuscendo ad amalgamare i tre elementi in un’unica soluzione malefica, tranciante e morbosamente melodica.
Una mistura ammaliante e corrosiva intrapresa oltre trent’anni fa con il mortifero “Luck of the Corpse” (una delle primissime release della Relapse Records) proseguita nel tempo, affinando di volta in volta i colpi, con altri sei album, tra i quali l’eccellente “Fearless Undead Machines” del 1997 e l’ultimo “Ghostly White” del 2018, ennesima gemma discografica dei Deceased, salito agli onori della cronaca anche per la triste vicenda che colpì direttamente il batterista David Castillo, scomparso proprio quattro giorni prima la sua pubblicazione. Un tragico scherzo del destino visto il moniker della band, la quale, dopo due lavori dedicati a cover d’annata in chiave punk-thrash (segnaliamo tra le altre l'”Ilona The Very Best” dei nostri Bulldozer) è tornata presso gli Oblivion Studios per rimettere in funzione il motore roboante e maligno dei propri strumenti.
Ed il risultato, ancora una volta eccelso, è l’odierno “Children Of The Morgue”, la cui title-track, oltre a manifestarsi come l’ennesima dimostrazione dell’estrema versatilità artistica sciorinata dal combo statunitense, si erge come uno dei migliori brani di sempre scritto da Fowley e compagni. Una macabra e intensa ninna-nanna, spedita e marcia, quasi surreale per certi versi, sostenuta dal cavernoso marchio vocale dello stesso Kingsley e dai continui e repentini cambi di ritmo tra riff più o meno lunatici e armoniosi.
Un perfetto incubo sonoro che apre ufficialmente i battenti, dopo l’intro “Destination: Morgue”, di uno degli album più oscuri partoriti dal gruppo della Virginia. Si parla di vita e, ovviamente, di morte, su cui Kingsley ha voluto aprire una lunga e personale digressione, mettendo in musica la sua visione più intrinseca del lutto (“I think I’m dead, i’m really dead” recita la tenebrosa “Fed to Mother Earth”).
Un’oretta scarsa suddivisa in dodici capitoli intrisi di rabbia, fascino, orrore e mistero. La forza dei Deceased – o più semplicemente il loro marchio di fabbrica – è quello di sorprendere continuamente l’ascoltatore, senza comunque gettarlo in una scontata confusione.
Come nella già menzionata “Children Of The Morgue”, anche nella violenta “The Reaper Is Nesting” o in “The Grave Digger”, l’impressione è quella di essere accompagnati all’interno di sale sensoriali nelle quali veniamo diversamente abbracciati da riff più melodici (“Eerie Wavelengths”), piuttosto che assaliti da letali incursioni thrash (“Brooding Lament”). Un tunnel funereo costellato da una serie di altoparlanti dai quali esce, stentorea, la voce di Fowley, narratore ideale per questo lugubre racconto, perfettamente rappresentato dalla spaventosa copertina a corredo.
Una strada tortuosa ed incantata, la cui via di uscita, o forse del definitivo abbandono, si chiama “Farewell (Taken to Forever)”: perfetta nel suo aggancio alla title-track, e non solo per via del refrain portante riproposto al termine del brano, ma proprio per quel senso celebrativo di chiusura dei cancelli ferrosi e pungenti dell’obitorio americano. Semplicemente Deceased, semplicemente ‘Death metal from the grave’.