DEEDS OF FLESH – Inbreeding The Anthropophagi

Pubblicato il 11/09/2015 da
voto
8.5
  • Band: DEEDS OF FLESH
  • Durata: 00:30:37
  • Disponibile dal: 01/03/1998
  • Etichetta:
  • Repulse Records

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La seconda metà degli anni ’90, si sa, non fu un periodo particolarmente felice per il death metal. Relegato ad una condizione di subalternità rispetto a generi più ammiccanti e di facile presa sul pubblico come il classic-power, il symphonic black o il nu metal, il caro vecchio Metallo della Morte quasi scomparve dai radar e dalle cartine del music business, sprofondando nuovamente nell’underground e sopravvivendo soltanto grazie a formazioni di “defender” che un po’ ovunque nel mondo ne ebbero a cuore le intenzioni e le cause. Negli Stati Uniti – oltre ai vari Dying Fetus, Immolation e Vital Remains – una delle realtà più attive su questo campo di battaglia furono senza dubbio i Deeds Of Flesh, che muovendo i loro primi passi dalla sonnolenta provincia californiana di Los Osos, si fecero presto segnalare ai seguaci di Suffocation e Cannibal Corpse come uno dei gruppi più sanguinari e brutali mai vomitati dal suddetto filone. La violenza intrinseca, unita ad un quoziente tecnico affatto scontato per l’epoca, trasformarono l’EP “Gradually Melted” e il debut album “Trading Pieces” in due piccoli casi e i loro autori, oggi come allora guidati dall’ascia e dalla voce gutturale di Erik Lindmark, in veri e propri pionieri di un certo modo di intendere la musica pesante. D’altronde, a questo punto della storia siamo nel 1996 e fenomeni come quello della cosiddetta scena “brutal” (che esploderà di lì a qualche anno proprio grazie al contributo dei Nostri e della loro Unique Leader) non esistono, se non nella fantasia di qualche adolescente in jeans attillati e maglietta XXL di “Pierced From Within”: pochissimi osano cimentarsi con simili evoluzioni, ancora meno ci riescono ottenendo simili risultati, e i Deeds Of Flesh ne sono perfettamente consapevoli, mettendo a ferro e fuoco prima i palchi della California, poi quelli di altri stati degli USA, con l’intento di spargere il più possibile il loro nome e affinare una formula già di per sé mostruosa e letale. E’ il preludio ad un massacro il cui odore di sangue rappreso e morte, nonostante lo scorrere del tempo, è ancora oggi percepibile nell’aria. “Inbreeding The Anthropophagi” vede la luce nel marzo 1998 sotto l’egida della piccola Repulse Records (Adramelech e Rotten Sound, fra gli altri) e nell’arco di trenta minuti esatti si propone di sfigurare irrimediabilmente il volto del genere, quasi fosse un tremendo colpo di mannaia inferto da uno psicopatico, spingendosi oltre ogni limite in termini di perizia esecutiva, ferocia e complessità. Con padronanza e disinvoltura invidiabili, i Deeds Of Flesh estremizzano qui tutte le tesi e gli argomenti esposti nelle opere precedenti, appoggiandosi nel farlo ad un concept deviatissimo incentrato sulla figura di Sawney Bean, serial killer inglese che a capo di un clan di cannibali uccise, smembrò e divorò un numero non meglio precisato di persone nella Scozia del XVI secolo. Testi abominevoli che fungono da base perfetta per lo spregevole processo di macellazione perpetrato dal terzetto, scandito dai colpi nevrastenici del neo entrato alla batteria Brad Palmer, in grado di passare con nonchalance da scariche grindcore a decelerazioni poderose e grassissime (chi ha detto slam?), dal pulsare funambolico del basso di Jacoby Kingston, figlio degenere di quello di Alex Webster e Chris Richards, e soprattutto dal riffing convulso di Lindmark, all’apice della fantasia e di una barbarie dai tratti quasi orecchiabili. Già, perchè nonostante il numero di break, contro-break e stop’n’go per brano sia a tutti gli effetti sbalorditivo, questi ultimi non mancano mai di offrire degli appigli per rimanere impressi nella memoria dell’ascoltatore, configurandosi come autentiche canzoni anziché come meri esercizi di stile privi di senso logico e musicalità. Un pregio non da poco, sfortunatamente dimenticato dalle generazioni successive, che trova il suo massimo riscontro in quelli che a nostro avviso risultano essere i veri capolavori del disco: “Infecting Them With Falsehood”, il cui solo refrain basterebbe a polverizzare il 90% del roster Sevared e Amputated Vein, e “Ritual Of Battle”, concatenazione di parti serratissime e rallentamenti da demolizione totale che in appena tre minuti e trentasei secondi snocciola l’ABC del death metal a stelle e strisce con dovizia di particolari e continui lampi di genio. Un’opera fondamentale, quindi, priva del benché minimo calo di tono e baciata da un rarissimo livello di ispirazione, che qualsiasi sedicente tuttologo di metal estremo dovrebbe conoscere in virtù del suo peso specifico e della sua influenza sulla scena. La quintessenza dell’orrore e della brutalità più sfrenata.

TRACKLIST

  1. End Of All
  2. Feeding Time
  3. Inbreeding The Anthropophagi
  4. Infecting Them With Falsehood
  5. Canvas Of Flesh
  6. Ritual Of Battle
  7. Fly Shrine
  8. Gradually Melted
1 commento
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