7.0
- Band: DEEP PURPLE
- Durata: 00:51:26
- Disponibile dal: 25/08/2003
- Etichetta:
- EMI
Spotify:
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È il 2002 quando i Deep Purple iniziano a ragionare concretamente sul loro diciassettesimo album in studio e questa volta Jon Lord, una colonna portante che li aveva guidati e accompagnati fin dagli esordi, non sarebbe stato della partita. Il tastierista già da un po’ di tempo regge a fatica i ritmi della vita on the road e preferirebbe un’attività meno intensa, cosa che la band non può permettersi in questa sua seconda giovinezza. Oltre a questo, Lord vorrebbe esplorare sempre di più il suo lato sinfonico e se il tour con l’orchestra di un paio d’anni prima è stato un momento importante per lui, si trattava comunque di una parentesi e non del nuovo corso dei Deep Purple. Con la classe che lo contraddistingue, dunque, l’organista si fa da parte e i quattro ex compagni si ritrovano in studio per registrare li successore di “ABandOn” con Don Airey e, questa volta, con un produttore esterno, Michael Bradford. La scelta è curiosa, perché Bradford non ha un curriculum tipicamente hard rock: ha prodotto Madonna, Kid Rock, i New Radicals, ma nulla di simile ai Deep Purple: la band stessa è inizialmente scettica, ma alla fine scatta la scintilla e Bradford si occuperà della produzione di ben due dischi, prima di lasciare il posto in consolle a Bob Ezrin. Quello che Bradford chiede ai Deep Purple è di non cercare di snaturare il loro sound per tenere il passo delle giovani leve, ma di fare semplicemente quello che sanno fare. La band, dunque, si butta alle spalle le incertezze di “ABandOn” e sforna un album che, senza essere un capolavoro, convince pienamente e rimette in pista la formazione inglese. Brani come la title track, con il pregevole interplay tra Airey e Morse; la trascinante “Silver Tongue” e soprattutto la splendida apertura di “House Of Pain” mostrano una band fresca e ancora capace di dire la sua. Due brani, “Picture Of Innocence” e “I Got Your Number” prendono vita da sessioni precedenti, in cui c’era ancora Jon Lord, ma i pezzi più interessanti sono altri, soprattutto quelli dove la band si lascia andare e prova qualche soluzione diversa dal solito. “Sun Goes Down” è sinuosa e avvolgente; “Haunted” è ancora una volta una grandissima ballad, delicata, mai sdolcinata e con un pregevole intervento vocale di Beth Harth a migliorare il tutto; “Doing It Tonight” è spigliata e divertente, con un taglio vagamente funky; “Walk On” si immerge nel blues più fumoso, per un brano firmato da Bradford e Gillan; “Never A Word” è un meraviglioso acquerello acustico dalle tinte folk; mentre “Contact Lost” è un delicato tributo di Steve Morse alla tragedia dello Space Shuttle Columbus. Il nuovo arrivato, Don Airey, svolge degnamente il suo ruolo e non fa sentire troppo la mancanza di Jon Lord, sebbene per il momento il tastierista non possa dirsi ancora perfettamente integrato: non partecipa ancora attivamente al processo creativo ed in generale sembra ancora un ‘sostituto’ con un gran curriculum e non il quinto membro del gruppo. Nonostante questo, comunque, i suoi interventi restano di altissimo livello, senza cercare di scimmiottare lo stile di Lord, ma sfruttando il suo enorme talento musicale per abbellire le composizioni. Concludendo, dunque, “Bananas” risulta un lavoro assolutamente positivo, sebbene frutto di un momento di transizione per una band che si sta risollevando dall’ennesimo scossone e quindi intaccato da qualche comprensibile incertezza. Per fortuna, comunque, il passo falso di “ABandOn” può considerarsi acqua passata: la storia dell’ultima incarnazione dei Deep Purple è ufficialmente iniziata.