8.0
- Band: DEEP PURPLE
- Durata: 00:45:36
- Disponibile dal: 07/04/2017
- Etichetta:
- earMusic
- Distributore: Edel
Spotify:
Apple Music:
C’è un interessante contrasto in questo che potrebbe essere l’ultimo capitolo dei Deep Purple: da una parte il titolo dell’album, “inFinite”, e dall’altra quello del prossimo “The Long Goodbye Tour”. Come ha anche spiegato lo stesso Ian Paice ai nostri microfoni, infatti, il concetto che vuol far passare la band inglese è che la musica è immortale, ma purtroppo i musicisti non lo sono e, sebbene il cuore dica loro di voler andare avanti per sempre, le lancette dell’orologio continuano inesorabilmente a ticchettare, togliendo il fiato e irrigidendo gli arti. Non sappiamo cosa sarà dei Deep Purple, forse non lo sanno nemmeno loro, ma quello che sappiamo e che adesso ci hanno consegnato l’ennesimo grande album, uno dei migliori della loro discografia degli ultimi 20 anni. Sarebbe un errore giudicare questo lavoro dopo uno o due ascolti: “inFinite” ha il pregio di svelarsi un poco per volta, mostrando sempre nuovi particolari e non esaurendosi nella melodia immediata, che pure non manca. Come ha dichiarato più volte lo stesso Gillan, i Deep Purple sono fondamentalmente una band strumentale con un cantante e questo emerge in maniera forte in questo nuovo lavoro, dove a farla da padrone è ancora una volta l’eccezionale interplay dei musicisti mentre, al contrario, quasi non ci sono ritornelli o, dove presenti, non rappresentano la colonna portante della canzone, ma semplicemente un tassello di un puzzle più grande. E’ un approccio sempre più progressive, che viene sottolineato anche dalle tastiere di Don Airey che, di album in album, si sta ritagliando sempre di più un ruolo di spicco nella band e non semplicemente quello di sostituto di Jon Lord. Per farlo il tastierista ha intrapreso la strada migliore, non cercando il confronto con un organista e pianista leggendario come Lord, ma dando spazio alla sua storia personale, giocando con sintetizzatori e tastiere dove Jon avrebbe avuto un approccio più classico. Fondamentale per l’economia di “inFinite” risulta essere Bob Ezrin, il celebre produttore che ha messo il suo marchio su album fondamentali per la storia del rock, dai Pink Floyd a Lou Reed, passando per Kiss, Alice Cooper, Peter Gabriel e tanti altri. Ezrin è un vero produttore artistico, uno che non si limita a girare manopole e a spostare levette al banco del mixer, ma che, da ottimo musicista e arrangiatore, sa dare una direzione ai musicisti. Imperdibile, da questo punto di vista, la visione del documentario allegato all’album, “From Here To inFinite”, che racconta la realizzazione e che vede Ezrin ‘bacchettare’ delle vere e proprie leggende, diventando parte integrante del processo di scrittura e arrangiamento. Il risultato di tutto ciò sono una manciata di canzoni di altissimo livello che, salvo qualche rara caduta di tono, non mostrano alcun cedimento. I momenti più alti sono, a parere di chi vi scrive, il primo singolo, “Time For Bedlam”, di cui abbiamo già parlato a suo tempo nella recensione dell’EP; “Birds Of Prey”, che ci toglie il fiato con quel finale da urlo, con uno Steve Morse in stato di grazia che mette in quell’assolo tutta la sua anima; e soprattutto “The Surprising”, un vero gioiello che inizia con un tocco di malinconia per poi esplodere in una trama strumentale eccezionale. Ottime anche “All I Got Is You”, scelta come secondo singolo, che si rivela, ascolto dopo ascolto, un altro pezzo di grandissimo livello; e “Johnny’s Band”, brano più solare e scanzonato, pur con quel velo di nostalgia che sembra attraversare tutto “inFinite”. Come dicevamo, comunque, la qualità rimane alta per tutta la durata del disco, tranne per un paio di pezzi, “One Night In Vegas” e “Get Me Outta Here”, che appaiono un po’ manieriste e prive di quella vitalità che contraddistingue il resto dell’album. Degna di nota, infine, la versione di “Roadhouse Blues” dei Doors posta in chiusura dell’album, che mostra la totale naturalezza con cui si muovono questi musicisti in un contesto rock blues. Potremmo andare avanti a lungo nel descrivere le varie sfumature ascoltate, ma rischieremmo di far diventare ‘infinita’ anche la recensione, pertanto ci limitiamo a schiacciare nuovamente il tasto play, immergendoci ancora una volta in quest’opera che, se dovesse davvero essere l’ultimo capitolo della storia dei Deep Purple, ci ricorda che, sì, i musicisti non saranno eterni, ma alcuni verranno ricordati per sempre.