6.5
- Band: DEEP PURPLE
- Durata: 00:46:05
- Disponibile dal: 12/01/1987
- Etichetta:
- Polydor
- Distributore: Universal
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“Perfect Strangers” e il relativo tour di supporto sono stati un successo per i Deep Purple e, così, appare semplicemente naturale far proseguire questo ritorno in grande stile con un nuovo album. I due musicisti più convinti, da questo punto di vista, sono Ian Gillan e Roger Glover, che si mettono di buona lena a lavorare su idee nuove, registrando demo e abbozzando nuove composizioni. I due, però, non hanno fatto i conti con il caratteraccio di Blackmore che, una volta chiamato in causa, praticamente si rifiuta anche solo di ascoltare quanto prodotto dai due. I Deep Purple, dunque, tornano in studio, ma l’atmosfera è tornata a farsi pesante e tesa, come già successo all’epoca del difficile “Who Do We Think We Are”. Se l’album del ’73, però, mostrava una band in crisi, ma talmente dotata da produrre un album di alto livello, i Deep Purple di “The House Of Blue Light” sono delle rockstar stanche, che fanno il possibile per mettersi i bastoni tra le ruote a vicenda, come dei bambini capricciosi. I musicisti (soprattutto gli eterni rivali Gillan e Blackmore) litigano tra loro perfino su quali pezzi inserire, con il cantante che non sopporta il pezzo preferito di Blackmore, “Call Of The Wild”, e il chitarrista che invece vorrebbe escludere “Mitzi Dupree”, la favorita di Gillan. Per quest’ultima, addirittura, Ritchie si rifiuta di suonare nuovamente le parti di chitarra e nella versione definitiva dell’album sentiamo delle tracce di chitarra provenienti dai demo realizzati in pre-produzione. Alla fine, non riuscendo a trovare una soluzione, la band opta per sforbiciare qua e là le canzoni, rendendole più corte in modo da riuscire ad inserirle tutte nell’LP e accontentare tutte le primedonne (problema fortunatamente risolto dalla versione in CD, che contiene le canzoni senza tagli). Anche la qualità del songwriting risente pesantemente della situazione: le composizioni di “The House Of Blue Light” non sono brutte, ma sono senz’anima, scritte e suonate per dovere da una formazione di musicisti eccezionali che si impegna il minimo indispensabile per portare a casa il compito. Il dialogo degli strumenti è ridotto al lumicino, con un Jon Lord quasi inesistente, un Blackmore svogliato e una sezione ritmica ben lontana dalla fantastica macchina da guerra che conosciamo. Bocciata anche la produzione, con Roger Glover al mixer che si arrende alle sonorità più posticce degli anni ’80, tanto che “The House Of Blue Light”, oggi, sembra ancora più datato rispetto ad album composti dalla stessa formazione quindici anni prima. Tutto sommato, comunque, qualche brano di valore c’è, soprattutto nella seconda facciata dell’album: “Spanish Archer” convince, così come anche “Strangeways”, nonostante i già citati problemi di produzione. Ma i due pezzi migliori, neanche a dirlo, sono proprio i due pomi della discordia: “Call Of The Wild” ha una melodia accattivante e un ritornello di grande livello, mentre “Mitzi Dupree” rispolvera l’anima blues del gruppo, con un testo divertente su un curioso incontro in aereo tra Ian Gillan e una… artista del ping-pong. Ancora una volta, dunque, la crisi della band porta ad un nuovo cambio di line-up, con il cantante che viene allontanato per la seconda volta, con la speranza che l’arrivo di un nuovo frontman possa dare nuova linfa ad una band che non riesce proprio a trovare la pace.