7.5
- Band: DEFACEMENT
- Durata: 00:40:14
- Disponibile dal: 03/09/2021
- Etichetta:
- I Voidhanger Records
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Arriva dai Paesi Bassi la perturbazione di caos violento e spigoloso che porta con sè venti caustici di annichilimento. Un’instabilità interiore, gonfia di ira, che si è sviluppata nel tempo cambiando le proprie sembianze. Nato nel 2012 come progetto black metal col nome di Deathcrush, questo rumoroso tormento si è evoluto appropriandosi di sonorità principalmente death che ne hanno perfezionato la trasfigurazione in Defacement. La band di Utrecht, dopo aver autoprodotto e pubblicato il primo full-length “Deviant” nel 2019, è giunta alla seconda fatica discografica, questa volta per la I, Voidhanger Records. L’omonimo album si concretizza in una spirale di estrema sofferenza scavata con le unghie, una ferita aperta nella quale scorre un senso di inettitudine nei confronti della vita. Un’opera che sembra svilupparsi all’interno di un imbuto oscuro, una discesa irreversibile nell’incubo martellante di un’esistenza nichilista. Il disco, come fosse un girone infernale, si suddivide in quattro limbi, ovvero quattro interludi atmosferici a cui seguono le quattro tracce vere e proprie. Qui il tempo si dilata in un universo di inquietudine, uno spazio nel quale si accatastano ritmiche assillanti e sonorità claustrofobiche su cui rimbalzano i riverberi degli Altarage e dei Convulsing, sino ad arrivare alle rifrazioni malsane dei Portal. “Shattered” è il primo schiaffo rovente di una creatura così sfuggente da non mostrare le proprie sembianze, ma basta ascoltare le sue urla raccapriccianti per desiderare una morte fulminea. Le chitarre si annodano elegantemente ad un drumming davvero notevole. Nel corso del brano i tempi si dilatano per qualche istante riesumando un clima funereo che, in un attimo, scompare tra le fauci del mostro. L’ascolto non risulta facile, né tanto meno immediato, ma “Disavowed”, ad esempio, offre riff melodici che attenuano il caos, creando una sorta di ipnosi anestetica. C’è tanto death metal fangoso e brutale nei dieci minuti di “Disenchanted”, forse il miglior pezzo dell’album. Come gli elefanti di Dalì, la canzone mostra una struttura pesante e vigorosa capace di penetrare un incubo grazie ai sottili arti, ovvero la ramificazione di fragili sezioni a sei corde che lacerano un temporale di sofferenza. “Wounded” è lo specchio che mostra le crepe dell’arrendevolezza, nel quale si riflette l’ospite d’eccezione Brendan Sloan (Convulsing). Un finale dove l’anima percepisce di essere intrappolata in un loop di tribolazione, assorbita dalle poche lacrime melodiche che germogliano nel buio. I Defacement brillano per intensità, costruiscono una struttura monumentale di sonorità opprimenti e soffocanti che certamente interromperà la linea dritta dell’orizzonte sul moderno panorama underground.
Il dipinto di Dusty Ray, in copertina, non poteva rappresentare al meglio questo album: ne uscirete consumati, distrutti, ma vivi.