7.5
- Band: DEFACEMENT
- Durata: 00:47:04
- Disponibile dal: 26/07/2024
- Etichetta:
- Avantgarde Music
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Nati solamente cinque anni fa, i Defacement chiudono in un lasso di tempo certamente molto breve una terzina di dischi semplicemente terrificante, tanta è l’intensità ed il disagio trasmessi dalla loro bruciante discografia. “Duality”, infatti, va perfettamente a continuare il percorso di densa sperimentazione messo in atto sin dal primo “Deviant” da questa formazione internazionale di camera ad Utrecht, in Olanda, inserendosi con grande agilità lungo il tragitto musicale tutt’altro che semplice imbastito dal gruppo dal 2019 ad oggi.
Marziale e spigolosa, la materia sonora trattata in questa sede si fonda sulle derive più slabbrate e contorte del death metal, frullato ardentemente con osceni richiami ad un black metal di concezione moderna che si palesa nei labirintici fraseggi di chitarra cosparsi con acume lungo tutta la durata di “Duality”.
Al pari di una fortezza impenetrabile, il lavoro dei musicisti coinvolti è davvero ostico, inospitale, difficile da tradurre in partiture musicali di senso compiuto, eppure così sinuoso e penetrante, grazie ad uno stile nelle rispettive performance sempre originale: vi basterà ascoltare il bizzarro modo di portare il tempo del batterista, le serpentine incursioni del basso o le funamboliche evoluzioni della chitarra per lasciarvi conquistare da brani talmente elaborati da mostrare nuove sfaccettature persino dopo decine di ascolti. Anche la voce, con il suo asfaltante assalto in growl, riesce a creare un effetto ipnotico, surreale, che grazie alla sua monotonia, fornisce un interessante contrasto con un comparto musicale incapace di ripetersi troppo a lungo.
Tralasciando le tracce ambientali che introducono ad ogni canzone (momenti transitori piuttosto ininfluenti e poco legati ai brani suonati), si viene scaraventati con “Burden” nel pieno dell’azione: una canzone che, dopo un principio a dir poco criptico, si apre inaspettatamente ad uno spaccato emozionale e quasi melodico; una versione orripilante dei Pink Floyd che sconvolge per l’intento e rapisce per la grande qualità della sua proposta, prima di tornare a chiudersi a riccio sui ripidi passaggi strumentali del finale. “Barrier” e “Scabulous”, invece, centrano la propria attenzione su un impatto ritmico e vocale terremotante, fatto di granitici riff in palm mute e continue perdite di punti di riferimento, secondo un gioco di specchi e richiami davvero fenomenale. Ma sono i sedici minuti di “Duality” ad attirare davvero l’attenzione: un opus dal carattere perverso dove torna prepotente un senso melodico raffinato e sinistro, elevato alla massima potenza dalle prodezze alla sei corde di Khalil Azagoth e Tadzio, veri protagonisti del brano. Si chiude così un lavoro colossale, innovativo, concreto e ricco di idee.
Tirando le somme, si fatica davvero a trovare un collocamento idoneo ai brevi intermezzi che si alternano alle canzoni: pur col passare del tempo, non si riesce a trovare il senso di questi insipidi passaggi elettronici fin troppo calmi e distesi, pensati forse per spezzare il ritmo del lavoro, ma nel concreto gestiti forse con eccessiva leggerezza.
Detto ciò, l’apparente inospitalità evocata da “Duality” necessita di tempo per essere addomesticata, e solo con molta pazienza si potrà scoprire un mondo musicale nascosto dominato da bravura ed inventiva, elementi preponderanti nell’assetto dei Defacement.