6.5
- Band: DEFEATED SANITY
- Durata: 00:37:44
- Disponibile dal: 05/02/2013
- Etichetta:
- Willowtip Records
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Tornano i Defeated Sanity, ovvero una delle più credibili risposte europee a Suffocation e Pyrexia, salita allo status di “cult band” grazie al destabilizzante “Psalms Of The Moribund” e, soprattutto, al monumentale “Chapters Of Repugnance”. Di quest’ultimo disco aveva colpito in particolare il tiro inaudito, abbinato ad una felicità creativa ragguardevole: la band aveva limato molte delle finezze e badato maggiormente al sodo, sfoderando una tracklist di una ferocia e di una efficacia impressionanti. Il nuovo “Passages Into Deformity”, invece, ritrova un approccio al songwriting più cervellotico: poche le parti “dritte”, numerosi, all’opposto, le aperture al tecnicismo più sfrenato – sentire il basso di Jacob Schmidt! – e gli avvitamenti ritmici. Lo stile si mantiene comunque immediatamente riconoscibile, con un’atmosfera molto fosca a dominare e il batterista Lille Gruber a reggere come sempre gran parte della scena, assieme al suddetto, fidato, Schmidt, ormai suo collaboratore storico. Le tracce sono nove, quasi tutte dalla durata piuttosto sostanziosa; spicca per atipicità l’uptempo “Verblendung”, che, oltre ad una interlocutoria parentesi industrial, presenta classiche trame US death metal abbinate a un riff portante radicato nel thrash. Altrettanto arzigogolate, ma nel complesso un po’ più uniformi, “Naraka” e “Perspectives”: sequele di break, contro break e di tutto un corollario di sfizi tecnici e di “soffocamenti” di matrice americana che guardano tanto agli anni Novanta quanto alle ultime evoluzioni del genere (di cui gli stessi Defeated Sanity sono d’altronde responsabili). Il tocco compositivo di Gruber e compagni è sempre abbastanza ispirato, ma il disco non ha quel qualcosa che lo porterà nella leggenda; forse sono i brani troppo strutturati, forse il minore impatto rispetto a “Chapters Of Repugnance”, dove una maggiore capacità di sintesi dava un grosso aiuto alla riuscita dell’operazione. Si ha la netta sensazione che in quasi ogni episodio vi sia troppa carne al fuoco, troppa “ciccia” superflua che al palato dona poco di davvero speciale. Non si esce dalla (buona) media, non c’è una canzone come “Carnal Deliverance” o “Engulfed In Excruciation”, che entra nelle orecchie sin dal primo ascolto. Un disco gradevole, ma che sa un po’ di irrisolto.