7.5
- Band: DEFEATER
- Durata: 00:35:00
- Disponibile dal: 28/08/2015
- Etichetta:
- Epitaph
- Distributore: Self
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Il passaggio dalla Bridge Nine alla famosa Epitaph non cambia affatto i Defeater, che si ripresentano al (sempre più grande) pubblico con un disco che risulta in tutto il più naturale successore di “Letters Home”. D’altronde, l’ormai noto concept storico-drammatico su cui il gruppo basa tutte le sue opere non concede chissà quale spazio per grandi deviazioni ed esperimenti: i Defeater stanno narrando una storia e a quest’ultima spetta il compito di dettare le atmosfere e i registri della musica. Se con il sopraccitato “Letters Home” la band aveva trattato la figura del padre della famiglia al centro del racconto, con “Abandoned” i ragazzi fanno entrare in scena un misterioso prete con un passato nell’esercito, offrendo undici tracce che ruotano attorno a vicende di alcol, guerra, morte e depressione. Un altro album cupo e profondo, dunque, lontano dalla pura malinconia e dai toni dolciastri del fortunato “Empty Days & Sleepless Nights”. Per la seconda volta consecutiva, il frontman Derek Archambault tiene da parte la sua voce pulita e la chitarra acustica (ora basi imprescindibili del suo progetto Alcoa): il suo screaming disperato ha campo libero nel ricoprire le fitte trame strumentali e l’amarezza scorre viva in brani come “Unanswered” – sentire l’acustico break centrale e l’effetto che le urla del frontman fanno su di esso – “Remorse” e le conclusive “Atonement” e “Vice & Regret”. L’unica parentesi più accessibile è rappresentata da un intervento di James Carroll, cantante dei Make Do And Mend. In ogni caso, anche a livello di struttura e sequenza della tracce, “Abandoned” appare molto simile al disco precedente, con brani di funesto hardcore alla Modern Life Is War alternati ad episodi maggiormente controllati, nei quali il quintetto si concede rallentamenti gravi e profondi, per poi far emergere le immancabili spezie post rock. A conti fatti, con questa nuova fatica i Defeater concedono qualche assist a chi già da un paio d’anni li accusa di ripetitività, ma, se preso singolarmente, l’album è tutto fuorchè da buttare: certi pezzi possono essere annoverati tra i migliori dell’intero repertorio ed è proprio l’elevata qualità media del materiale a far decollare un album che altrimenti avrebbe potuto configurarsi solo come un Bignami delle potenzialità degli statunitensi. Con “Abandoned” Archambault e compagni cedono di singolarità, ma compensano con una passione e una emotività che come sempre catturano e travolgono, portando a più riprese l’ascoltatore dall’Inferno al Paradiso.