7.5
- Band: DEFTONES
- Durata: 00:48:14
- Disponibile dal: 08/04/2016
- Etichetta:
- Reprise Records
- Distributore: Warner Bros
Spotify:
Apple Music:
Nota informativa: chi scrive considera i Deftones nel novero delle band ‘cult’ principalmente per merito dei primi tre dischi (imprescindibili se pure per motivi diversi), reputazione annacquata dai successivi due lavori e in parte riguadagnata con i due ultimi album, di spessore se pure non ai livelli di fine anni ’90. Ciò premesso, c’era comunque molta curiosità intorno all’ottava fatica del sestetto di Sacramento, la cui attesa è stata movimentata dal ritardo nell’uscita (complice qualche rework in fase di mixaggi con conseguenti ‘deftones-leaks’ su titolo e tracklist), per tacere delle dichiarazioni da un lato ilari di Chino (intento a prendere per il culo Kayne West) e dall’altro shockanti di Stephen (apparentemente poco convinto dal materiale proposto dagli altri all’inizio delle sessioni di registrazione). Inconsciamente influenzati dalle dichiarazioni del chitarrista in bermuda, e ben consapevoli che nell’epoca dei social il detto ‘purchè se ne parli’ è più che mai di attualità, dopo i primi ascolti saremmo quasi tentati di anteporre a “Gore” la poco lusinghiera etichetta di ‘Chino Moreno & The Deftones’ (similmente a quanto avvenuto con una band svedese, da molti ribattezzata ‘In Friden’), ma sarebbe un errore. Certo, ascoltando l’opener “Prayers / Triangles”, e ancor più la successiva “Acid Hologram”, è inevitabile tornare indietro ai tempi di “Saturday Night Wrist” – come se il fantasma dell’ex-bassista Chi Cheng, entrato in coma durante la fase di scrittura di “Eros” e deceduto nel 2013, avesse portato via con sè le evoluzioni di “Diamond Eyes” e “Koi No Yokan” -, ma fortunatemente rispetto a 10 anni fa ci troviamo di fronte ad una band molto più coesa ed ispirata, a dispetto di quanto potrebbero far pensare le apparenze. E’ così con “Doomed Users” e “Geometric Headdress” – graffiante come ai tempi di “Adrenaline” la prima, scattante come un fascio di nervi la seconda – si alza la tensione, prima che l’attacco pinkfloydiano di “Hearts/Wires” ci porti in una dimensione finora inedita per il quintetto californiano, e proprio per questo ancora pià affascinante. Peccato per una parte centrale un po’ sottotono – “Pittura Infamante” resta impressa solo per il titolo, mentre “Xenon” e “(L)Mirl” mostrano il fianco proprio in quello che storicamente è uno dei loro punti di forza, ovvero le linee vocali di un Chino forse troppo impegnato in diversi progetti -, ma come in borsa il rimbalzo è immediato con la title track, altro pezzo ‘crudo’ dove possiamo ammirare appieno il funambolico drumming di Abe e il nuovo basso a sei corde di Sergio Vega. Menzione a parte per la chiaccheratissima partecipazione di Jerry Cantrell degli Alice In Chains, il cui tocco magico fa decollare “Phantom Bride” come i fenicoterri in copertina, e per la conclusiva “Rubicon”, ottimo esempio dell’equilibrio perfetto generato dall’attrazione delle due cariche di segno opposto (la spinta melodica di Chino e la rabbia metallica di Steph), con il già citato Abe a fungere da fulcro. Dopo oltre vent’anni dal primo vagito discografico, la band più amata dai detrattori del nu-metal non finisce dunque di stupire, mescolando new-wave, lo-fi e metal in in un disco lontano dai capolavori del passato – con buona pace di Pac, Big, Stevie, Michael e Hendrix, che possono continuare a dormire sonni tranquilli – ma destinato a lasciare un segno, come spesso e volentieri succede in casa Deftones.