8.0
- Band: DEFTONES
- Durata: 00:51:20
- Disponibile dal: 12/11/2012
- Etichetta:
- Reprise Records
- Distributore: Warner Bros
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“Koi No Yokan”, lirica d’amore, premonizione dell’amore, momento dell’avvertimento del sentimento, della chimica, direbbe qualcuno. Be’, la chimica tra Moreno e Carpenter è ormai marchio di fabbrica. E sintomo di qualità. Inevitabile. Raramente i Deftones hanno sbagliato un disco e questo nuovo “Koi No Yokan” non fa eccezione. C’è sempre stato mutamento nel loro suonare, maturazione, cambio di pelle, ma il timbro dei due è cosa ineccepibile. Il croon di Moreno e il riffing di Carpenter si mescolano in un’adrenalinica altalena di nu-metal e post grunge che sfuma fino a due decadi successive, dove la vena electro e synthetica si fa scenografica in questo settimo lavoro, secondo senza la presenza dello storico basista Chi Cheng, non ancora ripresosi del tutto dal quasi fatale incidente automobilistico del 2008. Sergio Vega d’altronde ci mette del suo, collabora alla scrittura dei brani offrendo quell’aggressività moderna che dona, amalgamata ai colpi di cassa del buon Abe Cunningham, un impatto sonoro groovoso e del tutto accattivante. Ai Deftones sembra che il tempo scorra di fianco, senza intaccare la loro vena compositiva. “I wish this night would never end” si grida nella seconda traccia: sarà forse per questo che, al momento, “Koi No Yokan” gode di un responso quasi universalmente favorevole, di critica e fan, cosa che non accadeva alla band dai tempi del grandioso “White Pony”. Il nuovo lavoro è stato definito da Chino come “dinamico”. Possiamo discutere a lungo su quello che può significare questa affermazione, fatto sta che il disco risulta omogeneo pur nelle sue sfaccettature. Ad una prima parte più violenta succede una seconda più intima e dilatata, pur avendo un’incredibile uniformità a livello di intenti ed emozioni. “Swerve City” introduce lo standard, “Romantic Dreams”, “Leathers” e “Polterheist” assicurano le coordinate timbriche di Moreno, affascinano e sgomitano impetuose e tormentate come un fiume in piena. “Entombed” mette quasi i brividi. “Tempest”, già sentita in anteprima prima dell’uscita del disco, è una sofisticheria tooliana eppure così elegante e assimilabile. E gli spunti shoegaze di “Rosemary” e dell’ultima parte del disco infittiscono le tonalità di chiaroscuri romantici presentati in questo settimo lavoro. La fine di questo 2012 offre un ottimo colpo di coda al metal e all’alternative regalandoci questo disco, che non sarà il punto più alto della formazione di Sacramento, non sarà “White Pony”, né “Around The Fur”, ma che sputa fascinazione e romanticismo, puro Deftones e moderno al tempo stesso. Da ascoltare al buio. Soli. Per coglierne tutte le sfumature. E ritornare ad amare la band di Sacramento, California, come se tutto questo tempo non fosse mai passato.