6.5
- Band: DÉHÀ
- Durata: 00:36:41
- Disponibile dal: 29/01/2021
- Etichetta:
- Solitude Prod.
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Quanto durano trentasei minuti? Il tempo si relaziona ad ogni cosa materiale ed astratta, la percezione che si ha di esso varia in base a situazioni ed umore. La musica, generalmente, è come un fluidificante del tempo, ne smussa gli angoli, ne leviga la superficie trasformando un pesante macigno in una perla preziosa. Esistono però le eccezioni nelle quali il macigno genera una frana inarrestabile dalla quale si viene travolti, perdendo così la concezione del tempo, alterato da uno stato di ansia ed angoscia. “Par Le Sang Et La Fin” è l’eccezione che si riflette sull’eternità.
Il nuovo progetto del polistrumentista belga Déhà (Slow, Clouds, God Eat God, Merda Mundi ecc..) è una vera e propria trappola introspettiva dalla quale difficilmente se ne uscirà senza aver subito ferite. Alle registrazioni dell’album ha preso parte il batterista americano Chris Dalcin (Czarina, Elusive Travel, Windbreed ecc..) realizzando una fortezza invalicabile attorno a questo luogo malefico.
La titletrack, unico brano del disco, è un profondo crepaccio nel ghiaccio impenetrabile del funeral doom. Tra le poche note dilatate del platter non si precipita, ma piuttosto si galleggia nel buio, privati della gravità si fluttua a tentoni, molestati dalle urla irritanti che frustano l’anima. La ritmica, cadenzata e fangosa, deforma, come in un dipinto di Dalì, gli orologi del tempo, danneggiando la realtà sempre più schiava dei soli ricordi. Le incisioni profonde di basso e chitarra stringono lentamente un cappio alla gola, rallentando l’agonia che, occasionalmente, viene distratta da brevi ed innocui arpeggi. Intense ma sintetiche scosse sonore brulicano come vermi nel sottosuolo di “Par Le Sang Et La Fin” provocando fremiti di paura che si accatastano nella mente ormai martoriata. Poco dopo la metà dell’opera si captano echi cavernosi di riff sabbathiani che emanano un vapore purpureo sul cielo orrido ed oscuro del disco senza però perpetrare lumi di emotività concreta.
Déhà e Chris riescono nell’intento di plasmare un mondo dai paesaggi davvero ostici: lande lunari desolate dove non c’è nulla da esplorare se non il canto della tribolazione che apre spaccature profonde nelle quali giacciono i cadaveri dell’arrendevolezza. “Par Le Sang Et La Fin” risulta dunque un ascolto piuttosto difficile e complicato, il comburente più efficace per far divampare un incendio di depressione senza fine, infinito come questi estenuanti trentasei minuti.