5.5
- Band: DEICIDE
- Durata: 00:38:59
- Disponibile dal: 26/04/2024
- Etichetta:
- Reigning Phoenix Music
Spotify:
Apple Music:
Se il reclutamento di un chitarrista giovane e preparato (Taylor Nordberg, già visto all’opera con i ruspanti Inhuman Condition) e la scelta di celebrare in modo finalmente degno il proprio passato (i tour dedicati alla pietra miliare “Legion”), erano state viste da più parti come le mosse migliori che i Deicide potessero compiere per rilanciare le proprie quotazioni all’interno della scena death metal, ci pensa il nuovo “Banished by Sin” a riportare tutti con i piedi per terra e a ricordare come, almeno in studio, la band di Tampa fatichi davvero a essere rilevante e a spostare gli equilibri.
A ben sei anni di distanza dal precedente “Overtures of Blasphemy”, lasciata la Century Media e accasatosi presso la corte della neonata Reigning Phoenix Music (Kerry King, Orden Ogan, Sebastian Bach), il quartetto decide infatti di ripresentarsi sul mercato con l’ennesimo disco altalenante e innocuo, ribadendo come lo strapotere dei colleghi Autopsy, Cannibal Corpse o Immolation – veterani ancora in grado di dire la loro e di realizzare album degni della loro storia – non sia solo lontano, ma irraggiungibile.
D’altronde, sebbene qui il songwriting lanci tendenzialmente segnali di ripresa rispetto al 2018, complici lo spazio concesso a Nordberg e qualche guizzo da parte del solito Steve Asheim, anche questa raccolta perde presto il confronto sia con i capisaldi del gruppo (e fin qui, se vogliamo, non ci sarebbe da gridare troppo allo scandalo), sia con episodi non riuscitissimi ma comunque salvabili (“To Hell with God”, tolta la produzione patinata, ha pezzi che oggi i Nostri possono solo sognarsi), sia – ovviamente – con quello che da altri fronti viene offerto dal panorama death metal, basti pensare ai vari “Chaos Horrific” e “Ashes, Organs, Blood and Crypts” o agli sforzi di arrembanti realtà come Vitriol, Skeletal Remains e Necrot.
Insomma, sono innanzitutto il peso di certi album registrati in passato – il quale impone di mettere le cose in prospettiva – e la concorrenza di un panorama straripante di lavori pregevoli a tagliare le gambe ai Deicide odierni, i quali, impantanandosi in una riproposizione di cliché legati alla loro mitologia (il lavoro di chitarra snello e thrasheggiante, le linee vocali ‘in rima’ di Benton, ecc.), finiscono per perdere di vista ciò che fa la differenza in questo genere, ossia l’arte del riff e la capacità di suonare parimenti feroci e stimolanti.
Invece, come già sottolineato nel track-by-track di qualche settimana fa, in questi solchi c’è ben poco di avvincente e barbaro per un ascoltatore abituato a seguire gli sviluppi della scena e, soprattutto, indottrinato sulla lezione dei vecchi Deicide (e non parliamo necessariamente di quelli dell’esordio, del suddetto “Legion” o di “Once upon the Cross”, ma anche di quelli di opere come “The Stench of Redemption” e “Till Death Do Us Part”), per una quarantina di minuti di musica dove ‘spento’ e ‘dozzinale’ sono definizioni che ricorrono un po’ troppo spesso in associazione ai brani.
A conti fatti, basterebbero i singoli “Bury the Cross… with Your Christ” e “Sever the Tongue”, con il loro andamento in uptempo né violento, né tantomeno accattivante, vista appunto la mancanza di riff o strutture memorabili, per farsi un’idea sulla cifra stilistica di questo tredicesimo full-length, la cui incapacità di giocare di furbizia, celando magari un’ispirazione non al top di gamma con un approccio quantomeno brutale e autocitazionista, è il riflesso di una formazione ormai scollegata dalla realtà, che non segue affatto la scena di cui si crede parte e che, nella sua condizione di supponenza e ignoranza, pensa effettivamente che questo sia il modo migliore di suonare death metal tradizionale nel 2024.
Un quadro di modestia e – lo ripetiamo – innocuità che non ispira sorrisi e che non suscita lacrime, all’interno del quale Glen Benton e compagni si muovono impermeabili al fatto che, fuori dalla loro bolla, le cose si attestano regolarmente su ben altri livelli di presa e autorevolezza, con giusto una manciata di tracce (l’opener “From Unknown Heights You Shall Fall”, “Faithless”, “Woke from God”, parti della title-track) a sollevare un po’ la testa dalla piattezza generale.
In definitiva, a meno di non essere di bocca buona, difficile trovare veri motivi per esaltarsi o per lasciare in rotazione “Banished…” più a lungo di un paio di giorni, a testimonianza di un ritorno che (così com’era stato per “Overtures…”) ci fa soltanto rimpiangere i Deicide con i quali siamo cresciuti e che tanto ci hanno dato in termini musicali.
La speranza, a questo punto, è che almeno dal vivo i quattro americani non si soffermino troppo da queste parti, ricordandosi piuttosto del contenuto di una setlist recente come questa…