8.0
- Band: DEMIANS
- Durata: 00:56:41
- Disponibile dal: 19/05/2008
- Etichetta:
- Inside Out
- Distributore: Audioglobe
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Gli apprezzamenti di Steven Wilson, leader degli astri crescenti Porcupine Tree, già ci avevano allertati su “Building An Empire”, debutto dei francesi Demians. Nelle parole del mastermind della band albionica, vittima del classico colpo di fulmine, traspare l’eccitazione di chi scopre qualcosa di strepitoso e non vede l’ora di rendere tutti partecipi dello spettacolo: “uno dei migliori debut album che abbia mai ascoltato; le dinamiche della musica lasciano senza fiato. Un must per tutti gli amanti dell’arte espressa dal rock del ventunesimo secolo, ambizioso ed epico”. E, neanche a dirlo, non possiamo che dare ragione a Steven. Tra le nostre mani troviamo un piccolo grande gioiello di otto profondissimi viaggi, introspettivi ma brillanti e che, senza alcun limite di genere, spaziano tra le migliori influenze che un musicista possa vantare. Negli intenti dello stesso Nicholas Chapel, unico membro coinvolto nel progetto, impegnato su tutti i fronti strumentali e vocali, l’approccio iniziale alla realizzazione di “Building An Empire” fu volutamente volto all’espressione più pura dell’arte, senza preoccuparsi di quale stile musicale affrontare. Una impostazione che dovrebbe rappresentare il credo di tutti, vista la freschezza dei risultati. Provate ad immaginare un mix di Pain Of Salvation, Porcupine Tree, Opeth, Anathema, Nickelback, Katatonia, Riverside: bello, vero? Sappiate che i Demians sono questo e molto altro. L’opener “The Perfect Symmetry”, per esempio, affonda nell’oscurità più assoluta, superando i maestri Riverside in quanto a profondità, ed introducendoci, dopo i suoi nove minuti abbondanti, in “Shine”, una verosimile outtake di “Damnation” degli Opeth, con qualche prolissità in meno. “Sapphire”, grazie alle sue chitarre distorte, acustiche, ai suoi mellotron e alla sua melodia struggente ed ariosa al tempo stesso, ci porta nei territori tanto cari ai già citati ‘Porcospini’, lasciando ampio spazio alla voce del tuttofare Nicholas, che oltre a cantare ci insegna la sua arte nell’in-cantare, lasciandoci sgomenti nel constatare come quelle due lettere poste ad inizio parola pesino come un macigno. Arriviamo al potenziale singolo, “Naive”, un compendio accattivante di prog e post-grunge che potrebbe agevolmente costituire il punto di partenza per una nuova corrente. Le melodie si fanno concrete, ficcanti, direttamente proporzionali alla forza sprigionata dalle chitarre, qui ruggenti come non mai, anche se ancora assoggettate alla forza dinamica delle acustiche, sempre presenti nelle simmetrie dei Nostri (anzi, del Nostro). Le successive “Unspoken” e “Temple” riportano il tutto su tempi più moderati, così come la pop “Empire”, una sorta di tributo al pop dei primi anni ’90 dove voce, tastiere e beat la fanno da padroni. Un omaggio all’attitudine classicamente prog arriva in occasione della conclusiva “Sand”, ovvero sedici minuti di emozioni, ragionamenti, esperimenti. Tutto all’insegna dell’arte. La forza di un uomo, da solo con le proprie idee, di costruire un impero. E l’esempio per tanti, che con le solite sette note (anzi dodici), si può ancora dire qualcosa di buono. Tutto questo è Demians. Un grazie alla InsideOut, che una volta per tutte ci lascia pienamente soddisfatti per la qualità complessiva espressa dalle band del roster.