9.0
- Band: DEMILICH
- Durata: 00:39:03
- Disponibile dal: 08/02/1993
- Etichetta:
- Necropolis Records
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In un panorama, quello death metal nordeuropeo, che nei primi anni Novanta è stato quasi esclusivamente devoto alle sonorità più groovy e senza fronzoli, i Demilich vanno visti come la cosiddetta mosca bianca – o comunque come la più fulgida fra queste poche eccezioni. Finlandesi, di Kuopio, i quattro sono passati alla storia con il loro unico full-length, “Nespithe”, esempio imprescindibile di audacia e ricerca sonora in chiave death metal e progressive. Una sperimentazione sincopata e deragliata, nutrita con scorie noise, avanguardia, rivoli di jazz deviato e torbido. Un emblema di anarchia e fedeltà incondizionata al proprio istinto e alla parte più selvaggia e svincolata nascosta nel proprio Io. Tutti gli undici brani dell’album trasudano impellenza, voracità, frenesia creativa e allo stesso tempo appaiono fluidi e reattivi nel gioco instancabile delle libere associazioni. Abbozzi di astrattismo neo-primitivo come palpiti di viscerale, arcana reazionarietà, incontrollabile forza vitale. In “Nespithe” convergono con omogeneità sbalorditiva le innumerevoli incarnazioni e le sfaccettate complessità del chitarrista/cantante Antti Boman: le abrasività vintage e rumoriste degli Autopsy, l’intensità e il nervosismo strumentale da simbiosi interattiva e ricerca sonora degli Atheist, l’eclettismo e l’elasticità del jazz/fusion. Il tutto molto prima che le pietre miliari di Gorguts, Meshuggah o Spawn Of Possession sdoganassero certi esperimenti e li portassero definitivamente all’attenzione del cosiddetto grande pubblico. I Demilich nel 1993 si ponevano già come una sorta di piccola orchestra, dove gli strumenti avevano modo di esprimersi liberamente apparendo quasi scoordinati, salvo poi incontrarsi, sovrapporsi e generare trame sonore di incredibile profondità. Le impalcature ritmiche, i pattern chitarristici destrutturati e continuamente sovrapposti e stratificati, spesso dissonanti e costruiti su tempi irregolari, danno luogo ad una dinamica di interazioni, si irrobustiscono e pulsano, lasciano sempre impensabili spazi all’armonia di fondo, ad un ideale unitario, che in alcuni passaggi appare assurdamente orecchiabile. “The Sixteenth Six-Tooth Son of Fourteen Four-Regional Dimensions (Still Unnamed)” o “(Within) The Chamber of Whispering Eyes” sono inni di orgoglio e vigorosa autonomia identitaria che richiamano la pungente spavalderia degli Atheist e che, allo stesso tempo, si riagganciano qua e là a quella irruenza che gli Autopsy e altri padri fondatori del death metal hanno eletto a propria bandiera ideologica. Più si ascolta il disco e più ci si immagina questi musicisti finlandesi impegnati in una battaglia disperata contro le banalità e la spersonalizzazione. Dall’assurdo growling di Boman – sorta di asettico gorgoglìo che evoca un’abduzione aliena e le conseguenti atrocità di una sala operatoria spaziale – ai non meno folli titoli dei brani, tutto reclama singolarità ed idealismo. Una corsa forsennata alla ricerca di carattere e purezza, una proposta letteralmente impregnata di vibrazioni e intuizioni che raccoglie riflessi di inesprimibile e intraducibile, scariche adrenaliniche, confluenze di caos riflesse da una eclettica lente deformante e da un indicibile istrionismo. Un disco, per tanti motivi, assolutamente originale ed unico nel suo genere, spiazzante e inaspettato. A posteriori, quasi non stupisce che i Demilich si siano sciolti solo un paio d’anni dopo la sua pubblicazione: uno split che, probabilmente proprio come i primi ascolti di “Nespithe”, lasciò non poco interdetti i fan, i quali si aspettavano un suo successore di lì a poco. Ma evidentemente i Demilich non erano un gruppo come gli altri, certe logiche erano loro ignote e forse anche i tempi non erano poi così maturi per tale proposta sonora; così, proprio come degli alieni, i Nostri se ne andarono senza quasi lasciare traccia. Anche per questa ragione, l’album ha assunto negli anni un’aura semi-leggendaria, diventando un vero oggetto di culto per tutti gli appassionati del metal più tecnico e cerebrale, alla pari di uno “Spheres”, di un “Obscura” o di un “Chaosphere”. “Nespithe” è un’opera che affascina e che provoca al tempo stesso: un album difficile, indubbiamente non per tutti, ma che è in grado di trasmettere sensazioni mai provate se affrontato con la giusta attenzione e pazienza. Un disco per chi non ha paura di mettersi alla prova.
P.S.: “Nespithe” è stato recentemente rimasterizzato e ristampato dalla Svart Records nella compilation celebrativa “20th Adversary of Emptiness”.