DEMILICH – Nespithe

Pubblicato il 21/02/2014 da
voto
9.0
  • Band: DEMILICH
  • Durata: 00:39:03
  • Disponibile dal: 08/02/1993
  • Etichetta:
  • Necropolis Records

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In un panorama, quello death metal nordeuropeo, che nei primi anni Novanta è stato quasi esclusivamente devoto alle sonorità più groovy e senza fronzoli, i Demilich vanno visti come la cosiddetta mosca bianca – o comunque come la più fulgida fra queste poche eccezioni. Finlandesi, di Kuopio, i quattro sono passati alla storia con il loro unico full-length, “Nespithe”, esempio imprescindibile di audacia e ricerca sonora in chiave death metal e progressive. Una sperimentazione sincopata e deragliata, nutrita con scorie noise, avanguardia, rivoli di jazz deviato e torbido. Un emblema di anarchia e fedeltà incondizionata al proprio istinto e alla parte più selvaggia e svincolata nascosta nel proprio Io. Tutti gli undici brani dell’album trasudano impellenza, voracità, frenesia creativa e allo stesso tempo appaiono fluidi e reattivi nel gioco instancabile delle libere associazioni. Abbozzi di astrattismo neo-primitivo come palpiti di viscerale, arcana reazionarietà, incontrollabile forza vitale. In “Nespithe” convergono con omogeneità sbalorditiva le innumerevoli incarnazioni e le sfaccettate complessità del chitarrista/cantante Antti Boman: le abrasività vintage e rumoriste degli Autopsy, l’intensità e il nervosismo strumentale da simbiosi interattiva e ricerca sonora degli Atheist, l’eclettismo e l’elasticità del jazz/fusion. Il tutto molto prima che le pietre miliari di Gorguts, Meshuggah o Spawn Of Possession sdoganassero certi esperimenti e li portassero definitivamente all’attenzione del cosiddetto grande pubblico. I Demilich nel 1993 si ponevano già come una sorta di piccola orchestra, dove gli strumenti avevano modo di esprimersi liberamente apparendo quasi scoordinati, salvo poi incontrarsi, sovrapporsi e generare trame sonore di incredibile profondità. Le impalcature ritmiche, i pattern chitarristici destrutturati e continuamente sovrapposti e stratificati, spesso dissonanti e costruiti su tempi irregolari, danno luogo ad una dinamica di interazioni, si irrobustiscono e pulsano, lasciano sempre impensabili spazi all’armonia di fondo, ad un ideale unitario, che in alcuni passaggi appare assurdamente orecchiabile. “The Sixteenth Six-Tooth Son of Fourteen Four-Regional Dimensions (Still Unnamed)” o “(Within) The Chamber of Whispering Eyes” sono inni di orgoglio e vigorosa autonomia identitaria che richiamano la pungente spavalderia degli Atheist e che, allo stesso tempo, si riagganciano qua e là a quella irruenza che gli Autopsy e altri padri fondatori del death metal hanno eletto a propria bandiera ideologica. Più si ascolta il disco e più ci si immagina questi musicisti finlandesi impegnati in una battaglia disperata contro le banalità e la spersonalizzazione. Dall’assurdo growling di Boman – sorta di asettico gorgoglìo che evoca un’abduzione aliena e le conseguenti atrocità di una sala operatoria spaziale – ai non meno folli titoli dei brani, tutto reclama singolarità ed idealismo. Una corsa forsennata alla ricerca di carattere e purezza, una proposta letteralmente impregnata di vibrazioni e intuizioni che raccoglie riflessi di inesprimibile e intraducibile, scariche adrenaliniche, confluenze di caos riflesse da una eclettica lente deformante e da un indicibile istrionismo. Un disco, per tanti motivi, assolutamente originale ed unico nel suo genere, spiazzante e inaspettato. A posteriori, quasi non stupisce che i Demilich si siano sciolti solo un paio d’anni dopo la sua pubblicazione: uno split che, probabilmente proprio come i primi ascolti di “Nespithe”, lasciò non poco interdetti i fan, i quali si aspettavano un suo successore di lì a poco. Ma evidentemente i Demilich non erano un gruppo come gli altri, certe logiche erano loro ignote e forse anche i tempi non erano poi così maturi per tale proposta sonora; così, proprio come degli alieni, i Nostri se ne andarono senza quasi lasciare traccia. Anche per questa ragione, l’album ha assunto negli anni un’aura semi-leggendaria, diventando un vero oggetto di culto per tutti gli appassionati del metal più tecnico e cerebrale, alla pari di uno “Spheres”, di un “Obscura” o di un “Chaosphere”. “Nespithe” è un’opera che affascina e che provoca al tempo stesso: un album difficile, indubbiamente non per tutti, ma che è in grado di trasmettere sensazioni mai provate se affrontato con la giusta attenzione e pazienza. Un disco per chi non ha paura di mettersi alla prova.

P.S.: “Nespithe” è stato recentemente rimasterizzato e ristampato dalla Svart Records nella compilation celebrativa “20th Adversary of Emptiness”.

TRACKLIST

  1. When the Sun Drank the Weight of Water
  2. The Sixteenth Six-Tooth Son of Fourteen Four-Regional Dimensions (Still Unnamed)
  3. Inherited Bowel Levitation — Reduced Without Any Effort
  4. The Echo (Replacement)
  5. The Putrefying Road in the Nineteenth Extremity (…Somewhere Inside the Bowels of Endlessness…)
  6. (Within) the Chamber of Whispering Eyes
  7. And You’ll Remain…(in Pieces in Nothingness)
  8. Erecshyrinol
  9. The Planet That Once Used to Absorb Flesh in Order to Achieve Divinity and Immortality (Suffocated to the Flesh That It Desired…)
  10. The Cry
  11. Raped Embalmed Beauty Sleep
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