8.0
- Band: DEMON HEAD
- Durata: 00:46:44
- Disponibile dal: 20/09/2024
- Etichetta:
- Svart Records
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Dopo soltanto un album i danesi Demon Head escono dall’orbita della Metal Blade, ritornando all’ovile della Svart Records, per la quale avevano già pubblicato “Hellfire Ocean Void” nel 2019; probabile che la casa discografica americana si aspettasse qualcosa di più facile da piazzare sul mercato, rispetto alle plumbee, pittoresche e sospese atmosfere dipinte dai ragazzi nordici.
La svolta di “Hellfire Ocean Void”, dopo i due primi album affini a contesti di hard rock settantiano, li ha portati a una personale emulsione di heavy metal classico, doom, gothic rock, psichedelia e atmosfere cinematografiche, in assonanza con quanto fatto dai prematuramente sciolti In Solitude e dai Tribulation. Aggiungiamoci forti suggestioni death-rock e post-punk, e avremo il quadro di un suono morbido, caldo, intrinsecamente notturno e mesmerizzante, orchestrato in maniera magistrale proprio nel precedente “Viscera”. Album che non avrà, appunto, soddisfatto le attese commerciali della label che ne ha curato l’uscita, ma che ci ha messo di fronte ad artisti nel pieno della maturità, intenti a dare una forma propria e autorevole a quel connubio di sonorità oscure e drammaticità che sta solleticando tanti artisti di oggi. Un ‘dark sound’ ad ampio spettro, che attraversa il mondo del metal un po’ in tutte le sue forme, trovando proprio nei Demon Head una conformazione particolarmente sfuggente e ammirevole nel risultato finale.
In “Through Holes Shine The Stars” i Demon Head rimangono vaporosi, dilatati e indecifrabili come in “Viscera”, immettendo ulteriore sentimento e teatralità alla propria musica. Diventando così, da una parte, ancora più ombrosi e imperscrutabili, dall’altro, almeno in alcune circostanze, più diretti e ariosi.
Vi è nel disco una ricerca dell’estasi, della pace, un gusto per la melodia elegiaca e purificatrice capace di ricordare gli ultimi Baroness, in una versione più cupa e dannata; un accostamento che potrebbe sembrare bizzarro, eppure spontaneo quando si ascoltano i primi minuti della fascinosa “The Chalice”: tempi lenti, un salmodiare dai toni profondi e non minacciosi, registri chitarristici tanto bui quanto suadenti, un’idea di doom di ampio respiro che si mescola al piglio death-rock, rendendo subito accattivante la proposta. Nell’appena seguente “Draw Down The Sky” il fantasma del gruppo di John Baizley si manifesta in modo ancora più veemente, tracciando un collegamento tanto impensabile quanto solido.
Nonostante manchi l’insistenza verso andamenti diretti, ritornelli facili e strappi adrenalinici, vi è un invisibile filo a tirarci verso l’operato della band, che sa entrare bene in comunicazione con le anime oscure, confidando le sue inquiete idee un po’ per volta. L’Oltretomba dai modi eleganti e signorili bussa alla nostra porta in una composizione gotica in senso lato come “Every Flatworm”, per quasi la prima metà sospirante e rallentata, quindi trascinante, ferina e minacciosa, in un baccanale di NWOBHM, Mercyful Fate e, guarda caso, In Solitude; infine, nuovamente ammansita in una danza di spettri, tra arpeggi sinistri, melodie dark-prog ed effusioni d’incenso.
Le voci sottili di “Deeper Blades” suonano come un’armata di gentili fantasmi venuti a farci visita, all’interno di un brano confortevolmente ritmato, tra gothic rock e atmosfere vampiresche, ricordando nella brillantezza degli arpeggiati e nel procedere denso e solenne le ultime prove dei Black Oath. Si coglie a tratti, addirittura, una tensione orchestrale, una voglia di mettersi alla prova con rimandi al prog più sinistro e dannato, particolarmente manifesta tra i sintetizzatori da brividi della conclusiva “This Vessel Is Willing”, dagli accenti ‘gobliniani’ inseriti in un contesto sì metal, eppure teso a orizzonti più lontani, versi un buio così fitto che i contorni, fisici ed emotivi, si perdono.
Curatissimo negli intrecci vocali, nelle dinamiche sornione, nei solismi di carattere e mai invasivi, “Through Holes Shine The Stars” si pone quanto meno sul medesimo livello di “Viscera”, del quale ne è per certi versi un gemello, anche se non mancano come abbiamo detto alcuni aspetti di differenziazione. Un’opera veramente intensa, a suo modo scorrevole e che soddisferà chi ama sonorità plumbee ad ampio spettro e non scontate.