7.0
- Band: DEMON HUNTER
- Durata: 01:31:00
- Disponibile dal: 01/03/2019
- Etichetta:
- Solid State Records
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Guerra e Pace. Non sappiamo se i Demon Hunter abbiano preso spunto dal capolavoro di Tolstoj, ma di sicuro per il loro nuovo lavoro hanno voluto fare le cose in grande, licenziando due album in parallelo (“War” e “Peace”, appunto): stessa mossa fatta dai Guns ’N Roses ad inizio anni ’90, con la differenza però di un mercato discografico radicalmente diverso al giorno d’oggi. Astuta mossa di marketing studiata a tavolino, sintomo di fertilità compositiva o eccesso di hybris nella cernita delle sessioni di registrazione? Probabilmente un mix di tutti e tre gli elementi, ma andiamo con ordine, partendo dal lato bellico, che come prevedibile rappresenta il lato più aggressivo della formazione di Seattle. In realtà, fermo restando il consueto mix testostenorico di nu-alternative-arena-metal cui ci hanno abituato da quasi vent’anni, i brani veramente pestoni sono giusto un paio (“Unbound”, “Ash”), mentre i restanti hanno una componente melodica preponderante (“On My Side”, “Grey Matter”) o comunque importante (“Cut To Fit”, “The Negative”). Poco male comunque perchè, a prescindere dal numero di BPM e a parte un lieve calo nel finale (“No Place For You Here”), il tiro dei pezzi si attesta su un livello medio-alto, a conferma di una ritrovata vena compositiva. Passando al disco bianco, un discorso simile si applica a parti invertite: eccezion fatta per un paio di lentoni (“Loneliness”, con tanto di vocione in stile HIM, e la conclusiva “Fear Is Not My Guide”, per solo piano e voce), il resto della tracklist gira su coordinate abbastanza sostenute, ovviamente con la netta predominanza della voce pulita e le tastiere ad accompagnare le chitarre. Tra gli highlight del white album, segnaliamo l’opener “More Thean Bones” (anch’essa dallo spiccato retrogusto love metal negli arrangiamenti), “Recuse Myself” (ispirata da “The Sound Of Silence” dei Disturbed?) e il country-western di “When The Devil Comes”, mentre in questo caso troviamo qualche passaggio a vuoto in più (“Time Only Takes”, “Two Ways”, “Bet My Life”), facendo segnare la vittoria ai punti del lato guerrafondaio rispetto a quello pacifista (aspetto abbastanza paradossale, per una band cristiana). Detto che il voto in calce è frutto della media aritmetica (7.5 e 6.5), è evidente che un disco unico con il meglio dei due lavori (quasi tutto “War” e 3-4 pezzi di “Peace”) sarebbe stato decisamente più efficace, ma per i motivi citati all’inizio va bene così, dopodiché a ciascuno la possibilità di potersi costruire la propria versione di “War & Peace”, con buona pace di Tolstoj.