6.0
- Band: DEMONBREED
- Durata: 00:45:49
- Disponibile dal: 22/07/2016
- Etichetta:
- Testimony Records
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Formati da esperti musicisti della scena estrema tedesca – tre quinti hanno militato o sono tutt’ora in line-up nei death/grinder Milking The Goatmachine – i Demonbreed arrivano al traguardo del primo album in tempi brevissimi, solo un anno dopo la fondazione della band. Si può quindi dire che i cinque musicisti avessero ben chiaro fin dall’inizio cos’avrebbero voluto suonare, e anche per chi ascolta è facilmente desumibile quali siano le principali influenze di partenza e gli intendimenti di questa neonata realtà. È il death metal nordeuropeo il filone prescelto, spruzzato in rare circostanze di melodie black metal e di un lieve afflato epico che ricorda, quando presente, alcuni fraseggi degli Unleashed. Il grosso del materiale, la quasi totalità della musica presente in “Where Gods Come To Die”, ha quale unico nume ispiratore gli Entombed. Degli autori di “Left Hand Path”, ricordati persino sfacciatamente nell’incarnazione più oltranzista dei primi full-length, i Demonbreed prendono tutto o quasi: le chitarre ‘a motosega’, il martellamento ritmico, gli stacchi groovy, l’atteggiamento ignorante e votato a un’aggressione molto pragmatica, scevra di grandi accorgimenti atmosferici o complessità strumentali. Pochi i riff per canzone, ridotte al minimo le variazioni all’interno e fra le singole tracce, il disco mira a entrare in circolo al primo ascolto, forte di strutture basilari, ripetute ciclicamente e imperniate su refrain anthemici, che rimangono in testa quasi come chorus ripresi da un hit pop a vostro gradimento. “Where Gods Come To Die” sta ben lontano da sofisticazioni, adulteramenti o evoluzioni dello swedish death, concentrandosi esclusivamente sulla ricerca dell’impatto e della violenza becera. Considerata la buona produzione, nitida e carica a sufficienza per far risaltare ogni singolo aspetto del sound, l’ascolto si rivela piuttosto piacevole e per nulla impegnativo. Non si riesce, però, a spingersi oltre nel parlare bene dell’album. Perché, tolta la discreta cover di “Blood Colored” degli Edge Of Sanity, tutto suona maledettamente prevedibile, seppure divertente e nient’affatto approssimativo nell’esecuzione. I Demonbreed, oltre a omaggiare persistentemente gli Entombed, non si dedicano a eseguire molto altro. Piazzano qualche passaggio caracollante qua e là, alleggeriscono la pressione con elementari solismi, sposano la causa dell’epos nordico dei primi anni ’90 quando proprio vogliono darsi un tono, però non riescono a offrire nulla di davvero esaltante, assestandosi su una dignitosa sufficienza. Della quale si accontentano, un po’ per pigrizia, un po’ perché per il combo tedesco il death metal è solo e soltanto questo e non è necessario modificarne i tratti distintivi. Se si è di poche pretese, “Where Gods Come To Die” darà lo stesso qualche piccola soddisfazione; se dal metal estremo si desiderano emozioni forti, allora è meglio rivolgersi altrove.