7.5
- Band: DEMONIAC
- Durata: 00:41:42
- Disponibile dal: 01/09/2023
- Etichetta:
- Edged Circle Productions
Spotify:
Apple Music:
Mantiene un fragile equilibrio tra ardori beceri, tecnicismi a oltranza, esotismo e ricercatezza, il terzo album dei cileni Demoniac. La compagine sudamericana si era segnalata all’attenzione dell’underground con due opere dai tratti poco standardizzati, rivisitazioni fameliche, ‘calienti’ ed estrose dei dogmi del techno-thrash, sporcate di una rabbia ferina e tipicamente sudamericana. In “Intemperance” prima e “So It Goes” poi si era apprezzato un linguaggio thrash appuntito e dal mordente assicurato, di solide basi oltranziste, spostato dalle ottime capacità tecniche ed eclettismo funambolico verso orizzonti galattici e una miscellanea di sensazioni quasi psichedelica. In “Nube Negra”, il filo si riannoda ineluttabilmente alle ultime note proprio di “So It Goes”: da lì la band riparte per ridar vita a un concentrato di thrash palpitante, sprezzante nel suo aggredirci e strattonarci senza sosta. Una musica che, tenendo fede ad alcuni tratti somatici caratteristici del Sudamerica, penetra nella carne prima di tutto grazie alla sua foga, il desiderio di far male e l’entusiasmo dissennato, fanciullo, che i musicisti di quell’area del pianeta sanno infondere negli strumenti.
Per quanto si notino in fretta le coloriture e angolazioni anomale dell’insieme, a colpire in principio è la carica della formazione. Un grimaldello, una chiave di volta per stordire e intimidire, inanellando cavalcate infuocate, stop’n’go ben calibrati, riff appuntiti e una voce – in spagnolo – rozza e feroce quanto necessario. L’impeto degli assalti mostra abbastanza in fretta il suo secondo volto, o meglio, la sua espressione meno prevedibile e più enigmatica: fioriscono presto solismi prolungati e altamente musicali, le ritmiche chitarristiche guizzano quasi gioiose in alcuni punti, mescolando alla torva spietatezza thrash una calorosa anima latina. Non che si colgano sentori ‘etnici’ o elementi fuorvianti rispetto all’impianto metal, è qualcosa di cui la musica è intrisa senza mostrarsi platealmente.
Come accaduto nelle pubblicazioni passate, l’essere sballottati tra marciume e visionarietà porta inizialmente disorientamento, come se ci fosse un cozzare un poco fastidioso di suoni e approcci. È un’impressione ingannevole: il disordine creativo dei Demoniac è quello che potevano avere i primi Voivod, fino a “Dimension Hatröss”, oppure dei Vektor più arruffoni, se non ancora dei Dark Angel trapiantati nell’emisfero sud delle Americhe. Il gruppo, poi, ama far intrufolare strumenti raramente uditi in questi contesti, e si permette allora di introdurre clarinetto, fisarmonica e organo moog nella concitazione thrash. Ciò avviene preferibilmente per ammansire la propria indole, far filtrare melodie ariose e respirare un’atmosfera sofisticata, in alcuni passaggi addirittura lievemente flamencata. Non si sfora in sprazzi festosi o chissà quanto fuorvianti rispetto al sentiero principale: si tratta di piccole ma evidenti variazioni che si innestano con naturalezza e senso compiuto nelle singole tracce.
I Demoniac non cercano soluzioni particolarmente ‘storte’, ermetiche o astratte, sono al contrario estremamente carnali, livorosi, bravi a giostrare gli andamenti più canonici del genere e spezzarli con pause, divagazioni e trovate di ascendenza ben diversa. Per dare un’idea sommaria, il risultato complessivo potrebbe essere quello ottenuto prendendo dei giovani Sepultura/Sarcofago, farli ballare a una tradizionale festa paesana dei paesi latini, immergendoli infine in lunghe sessioni di ascolto di prog settantiano. Ecco, a grandi linee potrebbero scaturirne i contenuti di “Nube Negra”. Passionalità e riflessione si intrecciano e si abbandonano a più riprese, portando a canzoni avventurose e dagli sviluppi imponderabili: a emergere nella valorosa tracklist sono sia gli episodi a maggior tasso di sperimentazione, come “Veneno” e la sua sospirante coda strumentale, sia quelli pressanti e assatanati: l’euforica chiusura “El Final”, con le soliste a spiccare per luminescenza e briosità, appaga i sensi sia del thrasher più rozzo che l’ascoltatore restio a farsi semplicemente prendere a mazzate.
Con “So It Goes” i Demoniac avevano fissato dei notevoli standard, in questo terzo disco sono riusciti a mantenersi su quei livelli, senza snaturarsi né semplificarsi. Ormai una sicurezza.