7.5
- Band: DEMONIAC
- Durata: 00:42:07
- Disponibile dal: 29/01/2021
- Etichetta:
- Edged Circle Productions
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Cantami, o Diva, dell’illimitato e illimitabile entusiasmo delle metal band sudamericane! E, come in questo caso, delle loro illuminanti doti tecniche e della loro voglia di osare.
I Demoniac sono quattro ragazzi cileni che al momento, nella loro vita, hanno sopra ogni cosa un gran desiderio di thrash metal. Un thrash che asseconda quell’animosità esagitata tipica dell’extreme metal dei luoghi di provenienza e ci aggiunge corpose, abbondantissime dosi di tecnica ed estro melodico. Con “So It Goes” i Nostri giungono al secondo album e ci presentano un tipo di opera che sta affiorando, in forme diverse, qua e là nell’underground. Trattasi di una rivisitazione di chiari e splendenti dogmi thrash, molto old-school, che a un’esaltazione della spigolosità del genere affianca solismi spregiudicati e una (in)sana voglia di stupire, di buttarsi in avanti, di schiaffare nelle reni dialoghi chitarristici luminosi, ramificati, che possano ergersi a incontrastati tiranni dei brani. Degli assassini parecchio virtuosi, questo sono i Demoniac, che si rifanno a un’idea di techno-metal parente stretta delle migliori espressioni ottantiane e novantiane di questa scuola di pensiero.
Nelle cinque tracce del nuovo full-length, quindi, non sono affatto dialoghi fumosi o intorcigliamenti vanagloriosi a farla da padrone, quanto un riffing tagliente e abrasivo ed una propulsione ritmica che potrebbe appartenere a compagini ben più lerce e di puro fomento. I quattro agiscono d’istinto ben più che di calcolo, si lanciano all’attacco senza dosare le energie né possedere, in apparenza, una pianificazione così precisa di come debbano procedere. Slanciano quindi le loro esuberanze chitarristiche quasi a sorpresa, innestandole a un turbinio di riff che sa di Metallica, Megadeth, Vektor e Voivod e si alimenta di un voltaggio esagerato, un’ansia produttiva che può inizialmente apparire incoerente. Invece, ciò è semplicemente il modo di vivere e interpretare il metal tipico degli esordienti, di chi vuole prendersi il mondo con la sola forza dei propri strumenti. All’interno di un sound molto naturale ma ben rifinito nei dettagli, gli incroci di sei corde rifulgono di lucida follia, dedicandosi volentieri a una melodiosità sgargiante e avvolgente, piuttosto che a coltivarne la stranezza. Gli assoli non spezzano la furia degli assalti ritmici, ne sovraccaricano – in senso positivo – il potenziale e ne presentano un’altra faccia, conducendo a una fatale vertigine. Tendono a concatenarsi, queste fasi, prendendo come alleato per tali infinite scorribande linee di basso che a loro volta partono per la tangente e catapultano in uno scompaginato altrove.
L’avventurosità dell’opener “RSV – Fools Coincidence – Testigo” dice moltissimo su quale sia la natura del gruppo, che a partire dalla seconda “The Trap” dimostra di sapersi muovere con cognizione e trasporto anche su andamenti meno pressanti, all’interno dei quali ha un ruolo nient’affatto secondario il clarinetto. Quella che potrebbe sembrare un’intuizione un po’ bizzarra e fine a se stessa si fa invece apprezzare per l’intelligenza dell’uso e la funzionalità nel delineare atmosfere soffuse e cerebrali. Perché oltre alle cariche a testa bassa e agli avvitamenti solisti, i Demoniac hanno dalla loro un songwriting che sa cavalcare sì il disordine ma, all’occorrenza, non rinuncia a trame pensierose e rivolte agli astri, con un minimo di calma. Anche l’azzardo della suite (nonchè titletrack) da quasi venti minuti posta in chiusura è una mano giocata con sicurezza e che porta ad una vincita clamorosa: le diverse sezioni dialogano con criterio, la traccia non si perde in tanti rivoletti di suono e permane una certa compattezza, pur riscontrandosi al suo interno una selva di incroci chitarristici e coltellate ritmiche di varia natura ed impeto. La qualità media dei brani non sarà ancora quella degli uomini di David DiSanto, né rivaleggia ancora ad armi pari con il recente “The Wake” dei maestri del Quebec, ma la strada è quella giusta e il presente è già di quelli da godere appieno: thrasher, fatevi sotto e abbuffatevi di “So It Goes”!