7.5
- Band: DEPHOSPHORUS
- Durata: 00:24:04
- Disponibile dal: 15/06/2017
- Etichetta:
- Selfmadegod Records
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Da sempre lontani da qualsivoglia tipo di successo underground (complice la scelta di non suonare live), da sempre restii a parlare e comunicare con il mondo esterno, eppure così vicini alla formulazione di uno stile proprio e inconfondibile. I Dephosphorus sono ormai un meccanismo perfettamente oliato della scena grindcore europea, i cui ingranaggi macinano alla velocità della luce una gamma di influenze tanto vasta quanto coerente alla visione annientatrice del progetto, degno erede della scuola ‘evoluta’ di inizio anni 2000 e di pilastri come Discordance Axis, Nasum e Pig Destroyer. “Impossible Orbits” è la terza prova in studio per i quattro dissidenti greci (senza ovviamente contare i vari EP e split), e nell’arco di una ventina di minuti sintetizza al meglio la dicitura ‘astrogrind’ coniata dai suoi autori: un frullato eterogeneo e violentissimo che, partendo dal contenuto di un “Helvete” o di un “The Inalienable Dreamless”, ingloba dosi sempre maggiori di black, crust punk, ‘post’ hardcore e tentazioni siderali, per un risultato finale soltanto sulla carta forzato o caotico. La scrittura dei Nostri è infatti quanto di più lucido e composto sia possibile riscontrare in certi ambienti parossistici; un rapido susseguirsi di esplosioni/implosioni che non prescinde mai dai concetti di forma canzone, fluidità e – perchè no – orecchiabilità. Si sente che i Nostri hanno a cuore i riff e la loro capacità di incastrarsi su una base ritmica lungi dall’apparire piatta o monodimensionale, in cui i blast beat sono solo una delle tante armi a disposizione per ridurre in cenere l’ascoltatore, e tale predisposizione al songwriting fa di ogni brano di “Impossible Orbits” un piccolo esempio su come dovrebbe suonare questo genere nel 2017. Discorso a parte, invece, per la performance al microfono di Panos Agoros, il cui latrato burzumiano continua a fungere da tratto distintivo del suono della band: prendere o lasciare, anche se restiamo dell’idea che un simile dispiego di misantropia e sguaiataggine ben si presti a sorreggere le trame di una “Above the Threshold”, di una titletrack o di una “Suspended in a Void Universe”, esemplari nel loro coniugare avanguardia, impatto e tecnicismo in un processo chimico dagli effetti catastrofici. Uno dei dischi grind dell’anno, senza se e senza ma.