7.5
- Band: DERKETA
- Durata: 00:49:21
- Disponibile dal: 07/05/2012
Spotify:
Apple Music:
Quello dei Derkèta è con tutta probabilità un nome vagamente noto soltanto ai maggiori cultori della scena underground death metal. Formatesi nel lontano 1988, le Derkèta sono state quasi senz’altro la prima all female death metal band del globo. O, perlomeno, la prima a farsi un minimo notare, grazie alla pubblicazione di un paio di validi demo proprio a ridosso dell’esplosione del genere, tra il 1989 e il 1990. Purtroppo il progetto ebbe vita breve, nonostante i tentativi della leader Sharon Bascovsky di mantenerlo attivo, e il nome Derkèta venne sepolto poco dopo la pubblicazione dell’ultimo di quegli EP. Le Nostre non riuscirono mai a pubblicare un full-length e tutte le manovre per una reunion andarono a vuoto, almeno sino al 1999, quando grazie all’aiuto di alcuni session la Bascovsky ha avuto l’opportunità di riavviare la band e di realizzare alcuni split con realtà altrettanto underground. Ci è però voluto altro tempo affinchè le Derkèta riuscissero finalmente a concentrare materiale e sforzi sufficienti per confezionare il loro primo album. Tredici anni, per la precisione. Siamo nel 2012 e il debut “In Death We Meet” è alla fine nelle nostre mani. Tanta attesa è stata ripagata? Tutto sommato, sì. Il primo full-length delle ragazze (ormai donne) di Pittsburgh è infatti un bell’esempio – a tratti ottimo – di death metal dalle forti influenze doom. Facile trovare dei termini di paragone mentre si ascolta il platter: gli Autopsy più marci, gli Incantation o i Rottrevore vengono tutti alla mente prima o poi; tuttavia, le Derkèta riescono comunque a mantenere un certo flavour personale, grazie in primis al growling espressivo di Sharon Bascovsky, ma anche a una certa epicità di fondo, radicata appunto nel doom più tradizionale, così come nella lezione immortale dei Black Sabbath. Il disco si apre con “Goddess Of Death”, ovvero la canzone più lunga della tracklist, e subito il quartetto mette in mostra che genere di frecce ha al proprio arco: riff allungati, melodie evocative e una innegabile patina ottantiana/novantiana che riveste tutto, dalle strutture lineari al drumming semplice e diretto. “In Death We Meet” è un lavoro che gioca parecchio sull’atmosfera, lasciando poco spazio ad accelerazioni e strappi aggressivi. Giusto “Witchburned”, venata a tratti di thrash, vede le Derkèta premere il piede sull’acceleratore con costanza, per un risultato peraltro niente male, soprattutto quando il break centrale si apre a delle melodie di matrice Bolt Thrower. Venendo alla produzione, questa rientra in pieno in standard vecchia scuola, suonando in tutto e per tutto organica e cruda. Un discorso simile può essere quindi fatto per l’artwork, legato indissolubilmente all’immaginario death metal tradizionale. Insomma, “In Death We Meet” è un album che non cerca di fare il cosiddetto passo più lungo della gamba: le Derkèta sono rimaste devote al sound con il quale mossero i loro primi passi nella scena oltre vent’anni fa e qui ce lo hanno riproposto al meglio delle loro possibilità, senza strafare. Il risultato è un’opera altamente sentita, forte di alcuni episodi senza dubbio sopra la media e, nel complesso, ricca di spunti in grado di appassionare i più nostalgici fra gli ascoltatori death metal. A tanti sembrerà a dir poco vetusto, ma per chi scrive è proprio quello il bello.