8.5
- Band: DESASTER
- Durata: 00:51:19
- Disponibile dal: 01/04/1996
- Etichetta:
- Merciless Records
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“A Touch Of Medieval Darkness” è un disco che rappresenta perfettamente un periodo, quello in cui il black metal più classico vide il suo massimo splendore; a band come i Desaster non si chiedeva di saper suonare particolarmente bene o di saper registrare in uno studio: si chiedeva passione, rabbia e la capacità di comporre quelle particolari melodie, distese sul picking tipico del sound di quegli anni; il tipico scream alla Immortal e gli amplificatori aperti sugli alti completavano il tutto. Passata l’intro, già l’introduttiva “In A Winter Battle”, col suo incedere incalzante e vagamente epico, risponde perfettamente a questi requisiti, rimandando alla mente visioni notturne e panorami gelidi. La titletrack che segue si apre con uno dei riff più riusciti dell’intero genere, che muta in una melodia viking, per poi virare verso il black/thrash che diventerà sempre di più il tratto distintivo della band tedesca. Ma su questo debut poco ci interessano le disamine tecniche e sarebbe sbagliato analizzare questo lavoro in modo asettico: i Desaster, all’epoca, erano dei musicisti tutt’altro che impeccabili, ma ciò non ha impedito loro di confezionare un piccolo capolavoro, un album “classico”, in cui tutti gli elementi del genere sono contenuti e sapientemente dosati. Quel sound (che all’epoca veniva spesso definito semplicemente ‘norvegese’) è magistralmente ripreso dai tre tedeschi, come testimoniano l’arpeggio distorto che apre “Fields Of Triumph” e la successiva tirata, accompagnati dallo scream di Okkulto, o “Devil’s Sword”, che pare strappata dal primo EP dei Carpathian Forest. “A Touch Of Medieval Darkness” forse non è conosciutissimo, neppure tra gli amanti del genere: la fama della band tedesca si deve più al periodo Metal Blade (da “Angelwhore” in poi, per intenderci), eppure questo disco racchiude tutta la poesia nera di un modo di far musica che, forse, non esiste più; si sentono riff “buttati via”, costituiti da melodie strepitose ed accennati giusto un paio di volte, come facevano i primi Darkthrone, e su cui oggi delle band costruirebbero un intero disco. I detrattori potrebbero definire questa musica “ingenua”, ma noi la riteniamo, in qualche modo, pura. Ancora priva dei filtri dei manager e dei promoter, scevra dalla necessità di voler essere ripulita per piacere ad un pubblico più ampio o, viceversa, di ricalcare fino al parossismo i cliché più pacchiani del genere. Ascoltate “Crypts Of Dracul”: per metà è un pezzo di Mortiis, poi esplode in un riff strepitoso, degno dei maestri norvegesi, ed infine culmina in un muro sonoro che ricorda gli Emperor di “In The Nightside Eclipse”. Questo era il black metal a metà anni Novanta e band come i Desaster hanno contribuito a rendere salde le radici del genere.