7.5
- Band: DESPISED ICON
- Durata: 00:36:15
- Disponibile dal: 15/11/2019
- Etichetta:
- Nuclear Blast
- Distributore: Warner Bros
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In un’annata che ha visto diversi esponenti del filone death-core alle prese con le rispettive novità discografiche (Whitechapel, Thy Art Is Murder, Carnifex, Fit For An Autopsy), spetta ora agli indiscussi pionieri del genere riaffacciarsi sul mercato per ricordare a tutti la vera paternità di certi suoni. Oggi più che mai, i Despised Icon guardano unicamente a loro stessi e a quanto codificato nella prima metà del nuovo millennio in dischi come “The Healing Process” o “The Ills of Modern Man” per veicolare il contenuto di una proposta in bilico fra i tecnicismi della vecchia scuola ‘brutal’ (Cryptopsy e Suffocation in primis) e lo spirito stradaiolo di Hatebreed, Terror e compagnia anthemica, centrando un obiettivo solo all’apparenza riconducibile alla mera espressione di ignoranza e potenza.
Rispetto a quanto offerto nel comeback “Beast”, si segnalano giusto una resa sonora più moderna e un incremento generale della velocità, probabile conseguenza del volersi mettere definitivamente alla prova come musicisti, ma le ‘novità’ dal punto di vista formale e stilistico finiscono qui. Il sound è al 100% Despised Icon, lo stesso che insieme a quello dei Dying Fetus sdoganò una commistione fatta tanto di blast beat e riff opprimenti quanto di parentesi mosh e invettive dal taglio militante, diventato purtroppo terreno fertile per centinaia di gruppi dall’encefalogramma piatto e dalla capacità pressoché nulla di costruire brani di senso compiuto. “Purgatory”, così come i suoi predecessori, è invece sinonimo di dinamismo e coinvolgimento allo stato puro; un’onda che cresce, si gonfia fino a lambire picchi di intensità vertiginosi, prima di abbattersi con tutta la sua forza sul paesaggio circostante, in un fluire di soluzioni – siano esse hardcore o death metal – il cui incedere risulta sempre e comunque orecchiabile e spontaneo.
In un simile contesto, scandito dall’inconfondibile assalto vocale della coppia Erian/Marois, diventa persino difficile eleggere gli episodi più rappresentativi, sebbene la titletrack, “Snake in the Grass”, “Moving On” e “Unbreakble” abbiano tutte le caratteristiche per non sfigurare al fianco di alcuni celebri cavalli di battaglia, fra parentesi mutuate da un “Pierced from Within”, energici uptempo e breakdown da demolizione totale. Perché la classe, anche quando si tratta di schiacciare contro l’asfalto la testa dell’ascoltatore, non è e non sarà mai acqua.