8.0
- Band: DESTRAGE
- Durata: 00:55:10
- Disponibile dal: 10/21/2016
- Etichetta:
- Metal Blade Records
- Distributore: Audioglobe
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Dopo l’esordio su Metal Blade e gli ottimi riscontri, di pubblico e di critica, ottenuti con il precedente “Are You Kidding Me? No.”, c’era grande curiosità intorno al quarto album dei Destrage, e possiamo dire fin da subito che, a dispetto della pressione e pur essendo abbastanza diverso dal suo predecessore, anche “A Means To No End” non tradisce le aspettative. Là dove AYKMN faceva dell’imprevidibilità e dell’aggressione ritmata il proprio marchio di fabbrica – al punto da meritarsi l’ingresso nel ristretto club del djent ‘n roll -, questo nuovo lavoro si muove su trame sempre e comunque eclettiche ma più ariose e, per certi versi, accessibili. Idealmente diviso in due parti – con la title track e il suo contrario poste idealmente all’inizio del lato A e B, a creare un predludio atmosferico – “A Means To No End” scala subito le marce con “Don’t Stare At The Edge”, primo singolo che, nel fungere da ideale punto di contatto con AYKMN, conferma l’abilità dei quattro strumentisti (il tentacolare Federico Paulovich, l’aracnidico Gabriel Pignata e l’imprevedibile coppia d’asce formata da Ralph Salati e Matteo Di Gioia), guidati dietro al microfono dal poliedrico Paolo Colavolpe. Se le tracce successive, tra cui evidenziamo “Symphony Of The Ego” e “The Flight”, si muovono sulla stessa lunghezza d’onda (al punto che immaginiamo gli spartiti dei pezzi vadano stampati in formato A0 per stare su una pagina), le sorprese come detto arrivano nella seconda metà della tracklist dove, non dovendo dimostrare più niente a nessuno dal punto di vista dell’estremismo sonoro, il quintetto meneghino si concede qualche digressione di melodia psichedelica prima con la sorpredente “Peacefully Lost” (perfetta rappresentazione sonora della copertina) e poi con la conclusiva “Abandon To Random”, introdotta dall’acustica “A Promise, A Debt”. Inutile dire che anche in questa inedita veste i risultati sono di gran lunga superiori alla media del genere (qualunque esso sia, vista la sfuggevolezza dei cinque ad ogni tipo di catalogazione), ma anche chi fosse rimasto legato all’attitudine più ‘cazzara’ dei Destrage avrà modo di divertirsi con tracce come “Blah Blah”, per tacere dell’intricata accessibilità di “To Be Tolerated”. Tirando le somme, se pur meno pirotecnico e più diretto del suo predecessore (superiore di un’incollatura per l’effetto sorpresa e la genialità della title-track), “A Means To No End” si conferma come l’ennesimo capolavoro di una band ormai eletta per acclamazione, data l’innata dote di far sembrare semplici le cose difficili e la bravura anche in sede live, come ideale portabandiera del modern metal made in Italy, e non solo. Per dirla all’inglese: Destrage, what a band!