5.5
- Band: DESTRUCTION
- Durata: 00:50:33
- Disponibile dal: 07/03/2025
- Etichetta:
- Napalm Records
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Esce giovedì 6 marzo, in quel di Berlino, l’anteprima del documentario biografico dei Destruction, “The Art Of Destruction”; esattamente ventiquattro ore prima del rilascio della loro nuova fatica in studio.
“Birth Of Malice”, capitolo numero diciotto per la thrash band teutonica, arriva a distanza di tre anni da quel “Diabolical” che aveva decretato l’inizio di una nuova parentesi all’interno della carriera ormai quarantennale del cingolato guidato da Schmier.
Salutato infatti definitivamente lo storico chitarrista Mike, il gruppo di Weil Am Rhein aveva perfezionato il nuovo assesto a quattro elementi, con l’ingresso alla seconda chitarra dell’argentino Martin Furia il quale, con piacevole sorpresa, aveva portato un pizzico di dinamicità (leggasi varietà) ad una struttura compositiva ormai statica, satura e programmata con il pilota automatico costantemente inserito. Debolezze che, di contro, erano state quasi sempre coperte da prestazioni convincenti in sede live dove, doveroso ammetterlo, la parte del leone l’avevano (e lo fanno tutt’ora) sempre fatta i brani della prima ora, confermando così una certa carenza discografica che si protraeva orma da diverso tempo.
“Diabolical” sembrava quindi aver dato una spallata in questo senso, portando maggior linfa ed energia e questo”Birth Of Malice” ha pertanto sulle proprie spalle il compito di provare a dare una certa continuità espressiva alla band tedesca. Prova riuscita? Purtroppo no.
Tra i dodici brani (troppi), alcuni arrangiamenti sono sì interessanti testimoniando, come accennato, la vivacità offerta dal buon Furia alle sei corde: “Cyber Warfare” per esempio, alla stregua “Servant The Beast” del precedente “Diabolical”, ci esalta nel suo dinamismo; e come lei anche “Dealer Of Death”, “Scumbag Human Race” e “Greed” hanno al loro interno alcuni spunti gradevoli, ma è il resto a non convincere, riportando così a galla i difetti sopra rimarcati.
Il ripetersi di certi clichè, infatti, ha superato di gran lunga il tentativo di uscire da quei binari ormai cementificati e, a questo punto, abusati: ad esempio, il susseguirsi di refrain molli e poco incisivi (“God Of Gore”, “No Kings – No Masters”) e gli intro di brano con l’acuto di Schmier a far partire un prevedibile – e anche un po’ artefatto – andamento ritmico. Se a ciò aggiungiamo un paio di brani, “Evil Never Sleeps” e “Chains Of Sorrow”, davvero fuori luogo, con la prima a vestire i presunti panni di una ballad di fatto mal riuscita e la seconda senza un vero filo logico trainante, ecco che non bastano sicuramente sporadiche varianti più heavy e melodiche a spostare il tiro di una trama pressochè scontata.
Se dunque “The Art Of Destruction” si ritaglia un minimo di interesse globale, il nuovo “Birth Of Malice” non riesce a superare l’esame in questo senso, rimarcando le lacune ‘da studio’ affiorate negli ultimi anni.