7.0
- Band: DETESTOR
- Durata: 40:00
- Disponibile dal: 04/07/2011
- Etichetta:
- Buil2kill Records
- Distributore: Audioglobe
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Parlare del terzo album dei Detestor è, in un certo senso, un miracolo. In pochi infatti avrebbero scommesso su un ritorno sulle scene di questa storica formazione del metal estremo tricolore, che nel lontano 1995 diede alle stampe “In The Circle Of Time”, gioiellino di (melodic) swedish death metal concepito e pubblicato proprio nel periodo di massimo splendore del genere. Il gruppo ligure cessò le sue attività sul finire negli anni ’90, dopo essersi reso prima protagonista di una infelice svolta stilistica con il secondo full (“Red Sand”, infarcito di richiami a Fear Factory e White Zombie) e poi di un ritorno alle origini con l’EP “Ego”, uscito però in sordina. Sono trascorsi ben tredici anni dalla pubblicazione di quest’ultimo (era il 1998) e oggi i Detestor provano dunque a rifarsi vivi, con una lineup parzialmente rinnovata e un sound che prende le mosse dallo stile degli esordi senza però disdegnare l’aggiunta di qualche spunto diverso. Se infatti per la produzione e per il guitar-work sono stati presi come modelli “In The Circle Of Time” e tutta la gloriosa tradizione svedese (dai primi In Flames e Dark Tranquillity ai Dismember), le linee vocali sono invece state oggetto di una bella rinfrescata. Al classico growling sono infatti state affiancate ampie parti in pulito (o comunque su registri non troppo aspri), che prendono possesso di diversi ritornelli e aiutano anche a sottolineare ulteriormente l’atmosfera amara dei frequenti break acustici presenti in molti dei pezzi. Sicuramente qualche fan della prima ora avrà già tirato in ballo espressioni come “ruffianata” o addirittura “svolta metal-core”, ma la realtà è ben diversa. Il pulito infatti viene gestito sobriamente, senza far leva su linee troppo catchy o ammiccanti. Certo, a dire il vero, non sempre quest’ultimo si rivela effettivamente funzionale o ben calibrato – complice anche una tecnica lontana dalla perfezione – ma, al tempo stesso, se si è di ampie vedute è facile comprendere le intenzioni della band, che qui ha probabilmente soltanto cercato di far respirare maggiormente i brani e di variare un po’ l’approccio vocale. Piuttosto, ci dispiace constatare come il disco, dopo una prima parte molto coinvolgente, cali di intensità e di ispirazione nel finale, proponendo alcune tracce troppo macchinose che faticano a rimanere in mente. Questo, assieme a dei testi scritti in un inglese traballante – da sempre tallone d’achille della band – si rivela essere il sostanziale limite di “Fulgor”, album che sulle prime fa quasi sognare e che poi costringe a ritrattare un po’ il giudizio. In ogni caso, gli episodi convincenti non mancano affatto e inoltre non vanno certo dimenticati i tredici anni in cui i nostri sono stati lontani dalle scene: probabilmente il rodaggio non è stato ancora del tutto portato a termine e questo è solo il primo passo verso un definitivo assestamento. Attendiamo fiduciosi e consigliamo l’ascolto a chi vive di pane e metal estremo anni ’90.