7.5
- Band: DEVILDRIVER
- Durata: 00:51:24
- Disponibile dal: 24/06/2005
- Etichetta:
- Roadrunner Records
- Distributore: Universal
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Devildriver…i campanellini richiama-diavolo vengono fatti suonare per la seconda volta da streghe assetate di violenza e, come per incanto, Belzebù risponde puntuale all’incitamento, presentandosi sotto forma di cinque loschi individui, suonanti un metal estremo perfettamente a cavallo tra scuola moderna e scuola antica. Dez Fafara, ormai sempre più lontano dagli eccessi visivi e stilistici dell’epoca Coal Chamber e sempre più deciso a mostrare il suo lato più “assassino”, e i suoi quattro pard si ripresentano al via con un secondo disco, “The Fury Of Our Maker’s Hand”, ribadente le ottime premesse e speranze suscitate dall’album di debutto omonimo. Nessuna variazione evidente nell’impostazione del songwriting del gruppo, sempre volto ad aggredire l’ascoltatore con ritmiche che mischiano al vecchio thrash metal e ad un approccio molto slayeriano al riff un forte richiamo al nu-metal più ossessivo ed oltranzista che vede in Slipknot e Mudvayne i principali rappresentanti. A parte la mostruosa produzione di Colin Richardson e la garanzia offerta dal prodotto made in Roadrunner, i Devildriver inanellano una sequela di tracce particolarmente interessanti, peccando forse solo in prolissità ed in fase d’arrangiamento, dove la band avrebbe potuto osare di più, giusto per differenziarsi nettamente dalla moltitudine di gruppi emergenti (Trivium, The Agony Scene e compagnia bella) che potrebbe dar adito a qualche similitudine non esistente. Infatti, escludendo qualche richiamo al metal-core modaiolo, soprattutto udibile nel singolo “Hold Back The Day”, il cui break centrale è un classico invito a menare le mani, e nella bellissima “Pale Horse Apocalypse”, nella quale la band piazza un assolo melodico mostruoso e clamorosamente swedish-oriented, i Devildriver si rendono protagonisti di una performance feroce e accattivante allo stesso tempo, senza il bisogno di ricorrere troppo spesso a “trucchetti alla moda”. Tutti i brani si fanno apprezzare, con citazione particolare per “Sin & Sacrifice”, “Before The Hangman’s Noose”, “Ripped Apart” e la title-track, dal finale arpeggiato davvero evocativo. Un album, quindi, che soddisferà pienamente chi già conosce il gruppo, pur essendo, a giudizio di chi scrive, un pelino inferiore al precedente, vuoi per l’esaurimento dell’effetto sorpresa, vuoi per la qualità delle canzoni. Band comunque molto interessante, e da seguire con attenzione.