8.0
- Band: DEVILDRIVER
- Durata: 00:45:39
- Disponibile dal: 22/06/2007
- Etichetta:
- Roadrunner Records
- Distributore: Warner Bros
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Sarebbe bello se nessuno dei detrattori riconoscesse Dez Fafara nei Devildriver, che gli stessi siano confusi con una rivelazione europea o che il pregiudizio, radicato e irremovibile, possa essere sorpassato facilmente. Forse dopo un cammino lungo e difficile sarà la volta buona, per il combo californiano. Forse gli sforzi, la dedizione e una continua scalata verso l’alto, consistente in un ottimo debutto e dal devastante come back “The Fury of Our Maker’s Hand”, culmineranno nel meritato consenso in questo tripudiante terzo capitolo. Perché è maledettamente giusto che accada, sin da quando esplode nelle vene la terremotante doppia cassa di “Not All Who Wander Are Lost”, apripista per undici sfiguranti tracce di “The Last Kind Words”. Il gruppo ha smesso di essere come una delle tante band che vuole sembrare semplicemente la più dura in circolazione, trovando finalmente la propria inconfondibile identità, pur nella blasonata commistione di nuovo thrash, Gothenburg metal e tracce di metalcore superbamente prodotto (ancora una volta c’è lo zampino di Jason Suecof). Se la bravura di John Boecklin è realmente proporzionale al suo peso ci auguriamo che il batterista continui ad ingrassare fino alle dimensioni di un novello Gene Hoglan, perché il drum kit è assoluto protagonista dell’album, in primissimo piano e mai tanto pieno e destabilizzante. Presentando il duo Spreitzer / Kendrick – alle asce – si parla della componente più migliorata della formazione: insani, veloci, disumani com’è necessario ad un Dez che porta il suo growl al confine dell’irragionevole, riuscendo nel contempo a donare dinamismo e freschezza alle tracce con sapienti hook. Citando infine “Clouds Over California”, “Horn of Betrayal”, “Monsters of the Deep” e “When Summoned” non si può non pensare a classici istantanei concepiti per il moshpit, e senza nessun dannato e forzatissimo breakdown al loro interno. Tutti questi ingradienti formano un lavoro validissimo per una band che non ha espresso ancora il suo pieno potenziale verosimilmente: trascurarlo sarebbe imperdonabile, e chi scrive cade volentieri nella ripetizione piuttosto di fissare il concetto. Come suggerisce il titolo è l’ultimo avvertimento, la prossima volta sarà solo un grosso “fuck you all”, e si spera di vederne ancora di così belle. Brutale.