7.0
- Band: DEVILMENT
- Durata: 00:49:44
- Disponibile dal: 18/11/2016
- Etichetta:
- Nuclear Blast
- Distributore: Warner Bros
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Troviamo l’esperimento Devilment (anche se scommettiamo che Dani Filth non apprezzerebbe molto di sentirlo chiamare così) come qualcosa di assai interessante, ma di cui fatichiamo in verità a comprendere il vero target. A chi è rivolta infatti la musica racchiusa in “The Great And Secret Show” prima, e in questo “II – The Mephisto Waltzes” poi? La componente estrema è troppo bassa per un lavoro rivolto prevalentemente a quella frangia di completisti dei Cradle Of Filth che comprerebbero qualsiasi composta dal buon Dani, ma è al contempo troppo ‘blacky’, soprattutto nelle vocals, per accontentare del tutto i fan del gothic o dell’heavy tradizionale, generi che ogni tanto si ricavano un loro spazio anche sui solchi di alcune dischi dei Cradle. Visto poi che possiamo immaginarci che nella mente del luciferino frontman il target in realtà risieda un po’ in entrambe le categorie, con cosa il frontman stesso conta quindi di colpire l’attenzione di una fanbase così eterogenea? La risposta, curiosamente, si può riassumere con la parola ‘compromesso’. Infatti, “The Mephisto Watlzes” è un perfetto compromesso tra le imposizioni del metallo estremo e l’estetica del prodotto commerciale; un riuscito ibrido tra modern, groove, goth e black che sorride, batte l’occhio e ancheggia in direzione di tutti, ma che al momento in cui una cupida mano si protende verso le sue forme si ritrae in fretta con un risolino. Fortemente devoto all’orecchiabilità e alla schiettezza, questo secondo battito discografico dei Devilment vive quindi proprio di questo mancato schieramento in una direzione precisa, riuscendo nel chimerico obbiettivo di risultare a tratti oscuro e malinconico (“Full Dark, No Stars”), ora maligno e romantico (“Under The Thunder”) e ora semplicemente frizzantemente heavy (“Judas Stein”). Per fortuna, tutto questo saltare in multiple direzioni non ha comportato un’eccessiva eterogeneità o una riduzione della personalità del progetto stesso: il marchio Devilment si riconosce appieno in un po’ tutte le tracce, inciso a fuoco su pochi elementi distintivi che fanno da collante come l’ugola al vetriolo di Dani Filth, quella invece seducente e vellutata della coprotagonista Lauren Francis e la bravura dei Nostri di giocare con temi orrorifici mantenendo un approccio comunque disimpegnato e quasi circense. Le canzoni appena citate, oppure “Hitchcock Blonde” (dal vibe irresistibile), “Dea Della Morte” e “Hell At My Back” sono soltanto alcuni, azzeccati, esempi di come questo disco abbia saputo quindi giocare le proprie carte con saggezza, evitando, come dicevamo, di estremizzarsi in un’unica direzione scegliendo invece di fornire input interessanti ad un pubblico più vasto. Non troverete il capolavoro, forse, in queste dodici relativamente semplici canzoni, ma siamo piuttosto certi che vi troverete abbastanza materiale per divertirvi in più che pochi ascolti. Di sicuro un prodotto a cui dare una chance.