8.0
- Band: DEVIN TOWNSEND
- Durata: 01:10:45
- Disponibile dal: 20/06/2011
- Etichetta:
- Inside Out
- Distributore: EMI
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“At the end of the day you could take anything…a benign object of any sort…you could take a cheeseburger and deconstruct it to its source!”.
Devin Townsend, lo Schizoide Geniaccio Canadese, porta a compimento la quadrilogia dell’omonimo Project pubblicando gli ultimi due dischi in contemporanea, “Deconstruction” e “Ghost”, coppia di lavori completamente (o quasi) estranei fra loro. “Deconstruction” – nella sua pomposa e roboante magniloquenza – merita certamente la vostra attenzione, in quanto trattasi dell’ennesima inconfutabile prova dell’estremo eclettismo compositivo del Signor Townsend. Potremmo definire il suono contenuto in questa ora e passa di musica come schizo-progressive Devinian metal, perché a) siamo certamente in ambito progressive metal; b) il personaggio in questione è chiaramente schizofrenico; c) le peculiarità musicali contenute in “Deconstruction” sono univocamente Deviniane. Eppure. Eppure uno degli aspetti che stimolerà di sicuro il vostro interesse è la pletora di ospiti presenti nel platter, peraltro tutti di altissimo livello e per nulla scontati o consoni ad elargire ospitate ovunque: vi bastano i nomi di Mikael Akerfeldt (Opeth), Ihsahn (ex-Emperor, Ihsahn), Floor Jansen (ex-After Forever, Revamp), Joe Duplantier (Gojira), Paul Masvidal (Cynic, ex-Death) e Oderus Urungus (Gwar)? No? Allora aggiungiamo pure Tommy Rogers (Between The Buried And Me), Greg Puciato (The Dillinger Escape Plan) e Paul Kuhr (Novembers Doom)! In pratica, la sola e conclusiva “Poltergeist” non presenta interventi esterni, ma non per questo risulta sminuita, anzi: è una delle canzoni più violente del lotto e chiude in modo egregio uno stranissimo disco che presenta una tracklist in netto crescendo di pesantezza, iniziando dalla quasi pacata “Praise The Lowered”, i cui primi minuti paiono arrivare direttamente da “Ghost” tanto sono leggeri, e finendo con la devastazione sonica di “Poltergeist”, quasi emule degli Strapping Young Lad. Tra i due capolinea di “Deconstruction” risiedono badilate di follia, esternate attraverso estenuanti suite (“Planet Of The Apes”, “The Mighty Masturbator”, “Deconstruction”, rispettivamente undici, sedici e nove minuti!) oppure tramite lampi di complice genialità (“Juular” e soprattutto “Sumeria”, nella quale Townsend, Duplantier e Masvidal formano un trio da sogno!). E poi bisogna anche considerare che Devin aborre completamente la banalità dal suo songwriting, per cui se per caso vi aspettavate la Jansen esibirsi su un brano lento e sinfonico, vi dovrete invece sorbire i suoi vocalizzi lirici su un pattern black-industriale (“Pandemic”)! E’ questa la forza del poliedrico canadese, la sua totale imprevedibilità: nessuna paura di sperimentare e l’assoluto bisogno di scrivere e comporre la musica che vuole e sente. I pochi detrattori lo troveranno per l’ennesima volta insopportabile, i tanti estimatori non potranno far altro che inchinarsi nuovamente. Artista infinito.
“Let’s finish this!”.