8.0
- Band: DEVIN TOWNSEND
- Durata: 01:14:08
- Disponibile dal: 29/03/2019
- Etichetta:
- Inside Out
- Distributore: Sony
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“Empath”, il nuovo album firmato da Devin Townsend, non è un lavoro di semplice assimilazione: per comprenderlo appieno servono numerosi ascolti e, soprattutto, una guida, nella persona dell’autore stesso, che fornisce la giusta chiave di lettura alla sua opera. Non è un caso, infatti, se Devin, per accompagnarci nell’attesa della pubblicazione, abbia preparato una sorta di documentario-intervista in sette episodi, utile per decodificare parte di quel collage multicolore che è “Empath”.
Noi abbiamo già provato a raccontarvi, nei limiti del possibile, l’esperienza di ascolto di questo lavoro grazie al nostro track-by-track, e adesso è arrivato il momento di tirare le somme, raccogliendo i numerosi spunti che l’artista canadese ci ha regalato.
Prima, però, una doverosa premessa, che ci sembra necessaria per sgombrare il campo da possibili obiezioni e pregiudizi. Ci sono artisti per i quali la musica è un veicolo di espressione del proprio pensiero politico o sociale; per altri una rivalsa e un’auto-affermazione; per altri magari solo un lavoro, o un viatico per successo e fama. La musica di Devin Townsend, invece, è l’espressione pura della sua mente e della sua anima; una mente che ha attraversato momenti di nero assoluto, che ha superato i confini di ciò che è comunemente considerato come ‘sano’. Devin ha messo in musica tanti suoi incubi e noi li abbiamo amati in maniera incondizionata. Oggi, però, Devin Townsend è una persona diversa, che esplora ancora i recessi della sua mente, ma in maniera più pacifica, più serena, sebbene non certo convenzionale. Chi continua a rimpiangere gli Strapping Young Lad, probabilmente, dovrebbe mettersi il cuore in pace, perchè quel Devin Townsend non esiste più, per sua fortuna, se non per la nostra, e se volesse riportarlo a galla solo per compiacere la nostalgia dei suoi ascoltatori, il risultato sarebbe certamente al di sotto della aspettative.
Cosa possiamo aspettarci oggi, dunque, dal miglior Devin Townsend? Che continui ad esercitare quell’equilibrio tra genio e follia, senza mai adagiarsi nella stanca riproposizione di se stesso. Perchè questo sì peserebbe come una pietra tombale su una carriera che è sempre vissuta sull’eclettismo più assoluto. Ed è proprio questa la vera spinta di un album come “Empath”, che si scrolla di dosso gli abiti comodi e familiari del Devin Townsend Project per tornare alla libertà assoluta, in cui l’estro creativo di Devin può sbizzarrirsi senza i limiti imposti dalle dinamiche del gruppo. Largo quindi al progressive metal, all’elettronica, all’uso massiccio dei cori sempre più preponderanti, all’orchestra, al musical di Broadway, alla formazione allargata con ben tre diversi batteristi, fino alla scelta di un produttore artistico come Mike Keneally, discepolo di Frank Zappa, ad affiancarlo nell’intero processo.
Abbattuti gli steccati che rischiavano di limitarlo, Devin costruisce una grande metafora, quella dell’isola abitata da mostri e animali (soprattutto gattini…), che sembra una sorta di viaggio psicanalitico, una seduta di ipnosi, un sogno lucido, in cui il compositore mette in musica la summa di tutto ciò che è Devin Townsend oggi. E il risultato è grandioso, colorato, luminoso, pur nella sua scarsa immediatezza: non ci stupiremmo se questo lavoro diventasse uno di quei capitoli interlocutori, poco compresi nell’immediato e poi rivalutati e riscoperti a distanza di tempo, magari di anni.
Tutto perfetto, quindi? Ecco, una critica la vorremmo fare al buon Devin: l’intero “Empath” soffre di una sorta di ‘horror vacui’ nel suo cercare di riempire ogni singolo passaggio di stimolazioni sonore continue. Questa scelta, che pure è sensata all’interno del disegno generale di “Empath”, rischia di stordire l’ascoltatore meno volenteroso, che magari non ha tempo o voglia di ascoltare un album da settantacinque minuti per dieci volte prima di arrivare a comprenderlo (quasi) pienamente. Chi però avesse la pazienza e la curiosità di immergersi in questo folle Paradiso Terrestre messo in musica da Devin Townsend, difficilmente ne uscirà insoddisfatto, riemergendone ogni volta un po’ stordito, ma con un gran sorriso stampato sulle labbra.