6.5
- Band: DEVIN TOWNSEND
- Durata: 01:12:45
- Disponibile dal: 20/06/2011
- Etichetta:
- Inside Out
- Distributore: EMI
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Il Devin Townsend Project – la per ora più recente incarnazione del poliedrico musicista canadese – giunge al suo compimento finale con la pubblicazione in contemporanea degli ultimi due lavori di quella che doveva essere, e che in effetti è, una quadrilogia: prima “Ki” e “Addicted”, ora “Ghost” e “Deconstruction”. In questa sede trattiamo “Ghost”, che del poker di dischi componenti il Devin Townsend Project è l’asso meno legato alle tematiche trattate quotidianamente da questo portale. Già con il primo “Ki”, infatti, il buon Devin aveva dato ennesima prova del suo versatile talento componendo un album molto soft e per palati fini, ma nella nuova release in questione bisogna assolutamente convenire che il Pazzoide di Vancouver si è superato ancora una volta, arrivando a proporci un platter che, partendo dall’ambient e dalla musica atmosferica, lambisce coordinate progressive, country e – perché no? – etniche, relegando il rock in secondo piano e facendo completamente sparire il metal dai solchi del dischetto. Sacrilegio? Bestialità? Ma no, dai…con Townsend, lo sapete, occorre l’approccio più a 360 gradi che mai essere umano metallaro abbia potuto concepire, altrimenti non si dovrebbe neanche pensare di avvicinarsi alla follia del personaggio. Comunque, per quanto sia pesante e tremendamente impegnativo masticare e digerire un album come “Ghost” – oltre un’ora e dieci minuti durante la quale il suono più aggressivo è una sobria e allegrotta andatura country – il fulcro del lavoro è rappresentato dalla incredibile capacità di traslare in musica (musica sempre diversa, precisiamo) i molteplici stati d’animo che Devin, in quanto di natura umana, prova e percepisce. Un disco pacato, pacifico, rilassante e riappacificatore; canzoni da usare come ninna-nanne, se per caso avete prole (“Heart Baby” porta quasi alle lacrime, ve lo assicuriamo); arrangiamenti atipici, un sacco di flauto, vibrafoni, elettronica soffusa ma penetrante, arpeggi dal riverbero ancestrale, influenze che spaziano da Jethro Tull a Enya, ma che in realtà risiedono tutte nella mente universale dell’autore di “Ghost”, lavoro che se avesse condensato meglio alcune lungaggini (“Infinite Ocean” posta lì in fondo è una tortura) avrebbe certo ottenuto un voto più alto. Le atmosfere oscure e mistiche, quasi da Luna Comanche, di “Monsoon” e “Dark Matters” sono gli attimi più cupi del disco, mentre la spensieratezza della title-track e della seguente “Blackberry” danno una discreta botta di allegria all’ascoltatore, per il resto della tracklist catatonizzato da un suono che è anti-metal per definizione. Ma attenzione, ragazzi, perché “Deconstruction” – la chiusura del Devin Townsend Project – è per fortuna tutta un’altra cosa…