7.5
- Band: DEVIN TOWNSEND
- Durata: 01:04:16
- Disponibile dal: 09/09/2016
- Etichetta:
- Inside Out
- Distributore: Sony
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Neanche un’opera-monstre come “Z²” ha potuto fiaccare la spumeggiante creatività di Devin Townsend, portatore sano di follia e pacificato individuo capace come pochi di dare forma coerente e avvincente a serenità interiore e pensieri positivi. L’esagitato percorso avanguardistico compiuto dal musicista canadese ha lasciato spazio, nell’ultima fase di carriera, a una specie di sunto brillante delle puntate precedenti, con qualche limatura qua e là e una forte focalizzazione sulla coralità, l’interazione fra diverse voci principali, i suoni siderali e gli arrangiamenti di synth. Ingredienti necessari a descrivere accuratamente un mondo inondato di luce accecante e dorata, incantato anche se non privo di sbalzi di energia e dinamismo. Possiamo identificare in “Epicloud” lo spartiacque fra gli istrionismi imprevedibili vissuti fino a quel momento – con parecchie eccezioni nel mezzo, “Terria” su tutti – e una certa, comunque stupenda, ‘normalità’ di quanto prodotto successivamente. “Transcendence” non va quindi a creare grandi sconvolgimenti dal punto di vista evolutivo e al suo interno si rintracciano senza sforzi erculei i principali trademark di Devin, coadiuvato dalla stessa formazione di “Z²” e dal contributo vocale di Anneke Van Giersbergen a fungere nuovamente da etereo contraltare del mastermind. Ma c’è anche modo di riallacciare il filo con un passato quasi preistorico, non solo perché l’album si apre con la rivisitazione di “Truth”, inizialmente contenuta nello storico “Infinity”: le canzoni di “Transcendence” riprendono la reiterata quiete di quel full-length, incastonando la sua sognante verve melodica in un’accezione progressive ad ampio spettro, sfumata di raffinato pop. Detto della mancanza di idee innovative e di una notevole riduzione di andamenti immediatamente pregnanti, come accadeva invece di frequente in “Sky Blue”, la prima metà di “Z²”, bisogna dare atto a Townsend di aver scritto ancora una volta una serie di brani davvero ottimi, attraversati ogni tanto da qualche placidità in esubero, ma che alla lunga conquistano per una tessitura e una costruzione degli arrangiamenti trasudanti classe cristallina. La prime due tracce a emergere sono quelle più semplici e di breve durata: “Stars” miscela tenui pizzicate acustiche e una melassa incantata di chitarre aperte e ritmi briosi, ma misurati, rimbalzando fra i toni da ballad e quelli di ritmato singolo futurista, mentre “Offer Your Light” spinge su un baldanzoso schema di synth e un ritornello grintoso, andando in questo caso molto vicino al materiale dell’album precedente. Stiamo parlando delle variazioni dal tema principale, che vede al contrario i brani svelarsi poco per volta, partendo a volte da una chitarra acustica e vocalizzi soffici, oppure da un’introduzione dilatata, per arrivare attraverso gradati crescendo a momenti simil-orchestrali, colmi di epos e soavità. “Failure” e “Secret Sciences” si gonfiano enfatiche, ricche di delizie, snodandosi fra apparati vocali fittissimi e ben ordinati, mentre le tastiere guidano le linee melodiche principali, con le chitarre a rappresentarne più un compendio e un rafforzamento che lo strumento guida. Anche basso e batteria lavorano ai fianchi, e pur stando in sottofondo non possiamo che apprezzare il vasto retaggio di pattern dispensato anche stavolta da Ryan van Poederooyen, che non si impone con la forza e si muove felpato fra tempi dispari e un sapiente tambureggiare di cassa, poco invadente ma decisivo nel non far afflosciare le azzurrate composizioni. Spicca su tutte “Higher”, nella quale ammiriamo cambi di scenario e intorbidamenti che da qualche anno non comparivano nel repertorio di Devin: nel mezzo hanno spazio chitarre incupite e vocalizzi rabbiosi, le nuvole popolano un cielo fino a un attimo prima per nulla minaccioso, l’intensità sale inesorabile fino all’inclemente chiusura. Buona anche la rivisitazione di “Transdermal Celebration”, cover dei Ween, il cui andamento sognante non viene stravolto da Townsend, il quale sa comunque adattare sapientemente la musica altrui per farla suonare affine al proprio sentire. Anche con “Transcendence”, l’avrete intuito, c’è modo di inoltrarsi in paesaggi sonori avveniristici, interessanti e non immediatamente manifesti in tutte le loro qualità: godetevi il viaggio con calma.