7.0
- Band: DIABLERIE
- Durata: 00:48:23
- Disponibile dal: 27/01/2017
- Etichetta:
- Primitive Reaction
- Distributore: Audioglobe
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L’interessante proposta dei Diablerie, che tornano con un full length dopo sedici anni dal primo album “Seraphyde”, si configura come un’accattivante sintesi di industrial e groove metal della prima ora; ma se, oltre al lontano esordio, negli anni vi siete persi anche la manciata di EP pubblicati, non aspettatevi degli epigoni dei Fear Factory: le ispirazioni principali di Henri Villberg e dei suoi compagni di avventura, tra cui spicca Tomi Ullgrén (Shape Of Dispair e Impaled Nazarene, tra gli altri) si muovono decisamente verso altri lidi, e infatti il loro esito sonoro è molto più cupo e meno gelido rispetto alla proposta della band di Burton C. Bell. I sample e le partiture di tastiera scelti (per esempio in “Selves”) sono molto più legati alla scuola tedesca dei tardi anni ’80, Die Krupps in primis, con qualche puntata dalle parti dei Samael dell’era “Reign Of Light”, come ben evidente nell’iniziale “Hexordium: The Final Realisation” o in “Wear My Crown”; quest’ultima, peraltro, se non fosse per il cantato aggressivo sarebbe un brano quasi pronto per la dance hall, grazie alla sincope elettronica che fa da padrone. La timbrica di Henri Villberg gioca a donare un contrasto fortissimo e per lo più efficace, acuito da certe cadenze che giocano in duetto coi riff più pestati (come in “Rabid”), mentre il lavoro dello stesso alle tastiere svalica talvolta in pieno territorio Rammstein: ne è esempio perfetto “You Stop You Die”, dove viene accompagnato dalla batteria incalzante e dal cantato prevalentemente filtrato; con il risultato di offrire il brano più oppressivo dell’album, almeno fino all’esplosione quasi nu metal del finale. Tutto perfetto quindi? A dirla tutta, no: si va in fase di stanca nei brani successivi, allorché la formula, per quanto azzeccata, tende a ripetersi un po’ troppo; almeno fino alla conclusiva “I Am The Catalyst”, che riassume ed estremizza tutte le pulsioni precedenti in circa dieci minuti di acidità quasi interamente strumentale di grande efficacia. E che si chiude con un programmatico e spettrale proclama: Nothing Is Ever Over!. E del resto il “Vol. I” che accompagna il titolo non ci lasciava dubbi, al riguardo. Attendiamo il secondo capitolo, che con un pizzico di varietà in più potrebbe portare ai Diablerie parecchia attenzione.