8.5
- Band: DIABOLICAL MASQUERADE
- Durata: 00:38:59
- Disponibile dal: 21/09/1998
- Etichetta:
- Avantgarde Music
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“Nightwork”, terzo album dei Diabolical Masquerade, rappresenta l’apice della visione musicale di Anders “Blakkheim” Nyström per questo suo spesso sottovalutato progetto black metal. Originariamente pubblicato nel 1998 per la ‘nostra’ Avantgarde Music, il disco incarna la perfetta sintesi tra fantasia e controllo, dando vita a un’opera che fonde il sound coniato sui primi lavori con atmosfere ancora più orrorifiche e teatrali, elementi classici e incursioni in arie da soundtrack, creando un’esperienza sonora certamente particolare e difficilmente replicabile.
Al fianco del leader dei Katatonia, ritroviamo qui il celebre produttore e polistrumentista Dan Swanö, per quest’occasione convocato non soltanto come ingegnere del suono (come per le ‘puntate’ precedenti), ma anche per diventare a tutti gli effetti co-artefice dell’album: la sua impronta è tangibile, dal funzionale lavoro di batteria alle trame di synth che aggiungono profondità e densità a ogni composizione, per un lavoro a quattro mani che porta il progetto Diabolical Masquerade a un livello superiore di personalità e ispirazione.
Sin dall’iniziale “Rider on the Bonez”, ci si ritrova immersi in un viaggio tortuoso e affascinante, dove il riffing si fa corposo e ragionato, spesso lontano dalle frenesie tipiche di certo black metal scandinavo del periodo. Non a caso, questa volta i midtempo abbondano, permettendo alla musica di respirare più che mai e di accogliere grosse porzioni di heavy metal classico; da qui nascono notevoli strizzate d’occhio a Mercyful Fate o King Diamond e, in generale, uno sviluppo più avvolgente e narrativo che permette a Nyström di esprimere una maggiore sensibilità melodica che si alterna tra malizia e quella malinconia all’epoca subito riconducibile alla sua band principale. Ogni episodio sembra cesellato e concatenato al resto con estrema cura, come se l’intero album fosse la colonna sonora di un macabro spettacolo teatrale. In questo senso, l’atmosfera che permea “Nightwork” è uno dei suoi elementi più caratteristici, con Swanö che gioca un ruolo cruciale nella costruzione di questo scenario sonoro, attraverso l’uso sapiente di tastiere, synth e orchestrazioni che, sopra o tra riff di chitarra anche molto groovy, spaziano da lugubri intermezzi sinfonici a momenti stravaganti e circensi. È come vagare tra le stanze di un maniero stregato, dove ogni porta nasconde una nuova sorpresa. Un brano come “The Eerie Obzidian Circuz” incarna perfettamente questa estetica: un carnevale oscuro in cui il blackened classic metal qui coniato dal duo si sposa con melodie che sembrano provenire da un sinistro organetto, mettendo poi in risalto anche la solida performance alla batteria di Swanö, la quale dona all’album una struttura ritmica più organica e potente, capace di adattarsi ai continui cambi di tempo e atmosfera.
Blakkheim, dal canto suo, si dimostra un maestro nell’arte della narrazione musicale: da vero mattatore, la sua voce è una presenza costante, aspra e al contempo versatile, che guida l’ascoltatore attraverso scenari onirici e inquietanti. L’uso delle “z” al posto delle “s” nei titoli delle canzoni aggiunge poi un tocco di ironia e leggerezza, come se Blakkheim volesse ricordarci che, nonostante la foschia sinistra che avvolge il disco, quest’ultimo è pure una celebrazione del grottesco e del bizzarro.
Detto questo, al di là della patina kitsch, rispetto ai lavori precedenti, come “Ravendusk in My Heart” e “The Phantom Lodge”, la musica di “Nightwork” appare nettamente più strutturata e bilanciata, evitando quei talvolta bruschi cambi di registro di canzone in canzone che potevano essere notati sino al capitolo precedente. Non a caso, i momenti più riusciti dell’album sono quelli in cui tutte le componenti – dai riff alle tastiere barocche, passando per il drumming dinamico – hanno modo di dialogare e di imporsi con la giusta calma, in un insieme organico e sorprendente.
Ciò che distingue “Nightwork” da altri lavori symphonic/avantgarde black metal di quel periodo, con i quali molti cercavano maldestramente di rincorrere i fasti di Cradle Of Filth o Dimmu Borgir, è insomma la sua capacità di rimanere accessibile e concreto senza rinunciare a un pizzico di sperimentazione o a qualche volo pindarico che tradisce la volontà di non prendersi sempre troppo sul serio. La struttura delle canzoni, pur non seguendo schemi lineari, mantiene un filo conduttore che, soprattutto a suon di riff molto incisivi, guida l’ascoltatore attraverso questo viaggio gotico e surreale. È un album che sa ammaliare e anche divertire, con una personalità ben definita e un’identità sonora che si nutre senza mezzi termini di una teatralità grottesca e di una capacità di fondere generi con coerenza e disinvoltura, il tutto appunto al servizio di una forte vena narrativa.
Se “Nightwork” è davvero il punto più alto dei Diabolical Masquerade, è insomma perché rappresenta il momento in cui la visione di Blakkheim e il talento di Swanö si sono incontrati alla perfezione, dando vita a un’opera che rimane insuperata nel repertorio del progetto svedese.