
7.5
- Band: DIABOLIZER
- Durata: 00:38:53
- Disponibile dal: 11/04/2025
- Etichetta:
- Dark Descent
- Me Saco Un Ojo Records
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Non era facile dare un seguito a un piccolo capolavoro come “Khalkedonian Death”, uno dei dischi death metal più riusciti degli ultimi anni. I Diabolizer raccolgono la sfida con “Murderous Revelations”, un’opera che non stravolge le coordinate stabilite dal debutto, ma che ne accentua la ferocia e l’intensità.
Ancora una volta, al timone troviamo Mustafa Gürcalioğlu, vera e propria macchina da riff del death metal contemporaneo, già responsabile degli exploit di Hyperdontia, Engulfed e Decaying Purity. Con i Diabolizer, il musicista di Istanbul affina la sua visione più aggressiva e nevrotica del genere, puntando su una scrittura affilata come una lama, con un lavoro chitarristico a tratti in grado di richiamare l’approccio dei migliori Malevolent Creation, Vader e Severe Torture, inserito però all’interno di strutture molto ricche, con vari riff memorabili a susseguirsi freneticamente, per un vero tour de force all’insegna del riff in equilibrio tra death e thrash metal.
Se “Khalkedonian Death” colpiva per la sua capacità di intrecciare veemenza e una certa rotondità – ovvero canzoni che, nonostante l’intenso fervore e il tecnicismo, riuscivano a restare subito impresse – “Murderous Revelations” opta per un taglio più lancinante, in cui le trame si fanno più fitte e l’incedere diventa ancor più incessante.
L’ingresso è affidato all’ottima “Into the Depths of Diseased Minds”, la quale non concede esitazioni: subito l’impressione è appunto quella di un suono più serrato, quasi claustrofobico rispetto all’esordio. La produzione è asciutta, focalizzata, lascia spazio a ogni dettaglio senza per questo anestetizzare l’urgenza del tutto. Non è un album che cerca l’equilibrio, ma nemmeno la semplice aggressione. Piuttosto, affonda nel proprio lessico con metodo, costruendo una tensione costante che si regge sul dinamismo interno ai singoli brani. È forse qui che “Murderous Revelations” si distingue maggiormente: nella coerenza di fondo, che si manifesta anche a scapito della varietà. Se il primo full-length presentava anche midtempo corposi e dei momenti di apertura, con tanto di gustosi interventi del basso, questo nuovo capitolo predilige l’assalto ininterrotto. Ne deriva un ascolto più compatto, ma anche più faticoso: la mancanza di pause o deviazioni rende infatti meno evidente l’identità dei singoli brani, che tendono a fondersi in un unico flusso turbolento.
Eppure, all’interno di questa scelta c’è rigore, c’è un’intenzione chiara. “Purulent Divinity in Black Flames” e “Deathmarch of the Murderous Tyrant”, ad esempio, incarnano bene questo spirito: costruzioni complesse, stratificate, in cui l’aggressività non viene mai lasciata allo stato grezzo, ma cesellata, rifinita tempestivamente, diretta verso una forma schizzata ma coerente. C’è anche, in filigrana, una certa inclinazione atmosferica, un’ombra black metal che sfuma i contorni di alcuni passaggi senza mai diventare dominante.
Il rischio, semmai, è quello di una certa autoreferenzialità: un album che parla un linguaggio intransigente e che richiede tempo per rivelare le proprie qualità. Ma, una volta superata la superficie, ciò che resta è la conferma di un’identità forte. I Diabolizer non rincorrono la novità: piuttosto, approfondiscono il loro discorso, lo portano a una nuova soglia di veemenza.
La band turca continua insomma a interpretare il genere con un’intensità e una dedizione fuori dal comune, tenendo alta la bandiera di una scuola che si rifà a certi grandi del passato ma che sa anche parlare il linguaggio del presente.
Forse leggermente meno ispirato rispetto all’esordio, questo secondo album è comunque un trionfo di riff, ferocia e perizia tecnica. Ora non resta che attendere il prossimo passo di Gürcalioğlu – e conoscendo il personaggio, c’è da scommettere che non ci farà aspettare troppo a lungo.