voto
5.0
5.0
- Band: DIMMU BORGIR
- Durata: 00:48:52
- Disponibile dal: 28/09/2010
- Etichetta:
- Nuclear Blast
- Distributore: Warner Bros
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La perdita di due membri incidenti quali Vortex e Mustis costituisce senz’altro un ostacolo insidioso per i Dimmu Borgir, alle prese con l’ottava prova in studio della propria carriera. Con il precedente ed in verità povero d’idee “In Sorte Diaboli”, la band norvegese aveva puntato su un sound più snello e ammiccante che aveva fatto storcere il naso a più di un appassionato della prima ora, già messo a dura prova dalle tentazioni sinfoniche del comunque positivo “Death Cult Armageddon” e soprattutto dalla rivisitazione del classico “Stormblast”. Oggi la band capitanata a livello compositivo dal duo Silenoz-Galder fa un passo indietro andando a riprendere le sonorità maestose del già citato “Death Cult Armageddon”, ed in parte di “Puritanical Euphoric Misanthropia”, per trasportarle in una dimensione ancora più imponente e cinematografica, condendo le varie tracce con abbondanti dosi di orchestrazioni e cori. Le idee non mancano di certo, questa volta, e neppure ci sentiamo di contestare la svolta stilistica della band. Tuttavia, ascoltando singolarmente le canzoni, emerge in più di un frangente l’impressione che il gruppo scandinavo abbia calcato troppo la mano nel voler aggiungere orpelli e nel voler rendere la struttura dei brani quasi progressiva, con l’inclusione di numerosi cambi di tempo e d’atmosfera, senza essere in grado di gestire al meglio il pur buon materiale a disposizione. In una canzone come “Born Treacherous” ad esempio, non mancano idee interessanti e momenti coinvolgenti ma la commistione tra le varie parti non sembra calibrata al meglio e lo stesso discorso in maniera ancor più severa lo potremmo fare per “The Demiurge Molecule”, imbolsita dai fiati, e “Endings And Continuation”, dove addirittura il reticolo sonoro offusca la memoria. L’impronunciabile “Abrahadabra” porta con sé anche una vena melodica più ariosa e rilassata riscontrabile nell’attesissima “Dimmu Borgir”, ma anche nelle aperture sinfoniche con tanto di coro à la Therion della meno ispirata “A Jewel Traced Through Coal”, per non parlare delle incursioni quasi power di una discutibile “Renewal”. La nostalgia di Vortex, invece, viene certificata alla traccia numero 6 (“Ritualist”), allorché entra in scena uno Snowy Shaw (Therion), dalle indubbie doti vocali, ma altresì distante dalla magica timbrica dell’ex bassista. Le cose migliori le ascoltiamo in “Chess With The Abyss” che rinterpreta con personalità gli ultimi Satyricon, nella già citata “Born Treacherous” e forse nel singolo dall’indiscusso appeal “Gateways” con la bizzarra voce femminile firmata Agnete Maria Forfang Kjølsrud. Troppo poco per promuovere un disco che, non fatevi ingannare dalla produzione straripante, zoppica vistosamente nel songwriting.