6.0
- Band: DIMMU BORGIR
- Durata: 00:54:19
- Disponibile dal: 04/05/2018
- Etichetta:
- Nuclear Blast
- Distributore: Warner Bros
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Ci sono voluti circa otto anni per poter ascoltare il nuovo album dei Dimmu Borgir, otto anni che sono un’enormità per una band attiva, tanto da far circolare voci su una crisi creativa e un possibile scioglimento. Eppure Shagrath, Silenoz e Galder sono qui oggi a smentire tutti con un “Eonian”, un album che non è un vero e proprio concept, ma che ha come comune denominatore il Tempo, la sua illusorietà e il suo essere frutto del pensiero umano. Oltre a questo, c’è anche una tappa importante nella storia dei Dimmu Borgir, che celebrano proprio quest’anno il loro venticinquennale: come si dice, di acqua ne è passata sotto i ponti, dalle prime gemme di oscuro black metal sinfonico, la consacrazione con “Enthrone Darkness Thriumphant”, fino agli ultimi, interlocutori capitoli discografici. Sulle nostre pagine ci sono state critiche piuttosto dure verso album come “In Sorte Diaboli” ed “Abrahadabra”, lavori che, a dispetto del dispiego di mezzi economici e tecnici messo in piedi dalla corazzata Nuclear Blast, non hanno trovato la stessa corrispondenza nella solidità della scrittura e nell’ispirazione artistica. C’era dunque una comprensibile curiosità nei confronti di “Eonian”, così come la speranza che questa lunga attesa potesse essere stata di aiuto nei confronti di una band un po’ allo sbando. L’ascolto della nuova fatica di Shagrath e compagni è stato decisamente spiazzante, in prima battuta: se gli ultimi due album, infatti, mostravano una preoccupante carenza di idee, in “Eonian” la band mette tanta carne al fuoco, cercando di raggiungere una sintesi di tutto il Dimmu Borgir sound, abbracciando, almeno nelle intenzioni, tutta la loro carriera, fin dal lontano 1993. L’obbiettivo può dirsi raggiunto? Purtroppo solo in parte. “Eonian”, forse per la prima volta da una decina d’anni a questa parte, riesce a mettere a segno qualche colpo ben assestato. È il caso, ad esempio, della luciferina “Lightbringer”, pezzo che parte con un riff cadenzato, ma che svela la sua vera natura non appena esplode la sua vena maligna, con quelle chitarre taglienti e tastiere glaciali. Un pezzo notturno e ferino, dove finalmente si coglie un po’ l’odore del sangue. Funziona anche il secondo singolo scelto dal gruppo, “Council Of Wolves And Snakes”, composizione atipica, guidata da un’atmosfera sciamanica, grazie al canto armonico e alle percussioni martellanti. Al suo interno troviamo anche la magniloquenza del coro, le atmosfere sinistre delle chitarre acustiche e un bello stacco nella parte centrale. E funziona anche “Rites Of Passage”, composizione strumentale posta in chiusura che ricorda per certi versi “Perfection Or Vanity” (da “Puritanical Euphoric Misanthropia”), sostituendo quella maestosa vena di arroganza con un approccio più malinconico e dimesso. Il resto dell’album, invece, si assesta su quelle coordinate che, ormai, sono l’attuale essenza dei Dimmu Borgir, con risultati altalenanti: le composizioni si dipanando nella grandeur sinfonica, con orchestrazioni imponenti ed autocelebrative, che non sono più alimentate dalla fiamma nera del black metal. La sensazione è quella di trovarsi di fronte ad un sovrano in decadenza che, dopo anni di conquista, vive nello sfarzo, circondato da una corte compiacente che nutre il suo ego con maestose parate militari, che inneggiano all’imperatore senza doversi preoccupare della battaglia. Talvolta queste legioni in marcia riescono a suscitare quantomeno un sussulto di spirito epico (“Alpha Aeon Omega”), ma più spesso il tutto si disperde in una tronfia manifestazione di pacchianeria, come nel caso della pessima “Interdimensional Summit”, drammaticamente scelta come primo singolo per un album che, per fortuna, non si assesta tutto su tali abissi di mediocrità. Nonostante qualche segnale di ripresa, dunque, il ritorno dei Dimmu Borgir è ancora lontano dal riconsegnarci una band in piena forma. Chi ha apprezzato il trio norvegese di “Abrahadabra” potrà sicuramente trovare spunti di interesse anche in “Eonian”, ma se contavate che questi otto anni di assenza avessero riacceso i fasti di un “Death Cult Armageddon”, potreste rimanere delusi ancora una volta.