5.0
- Band: DIO
- Durata: 00:45:34
- Disponibile dal: 29/08/2006
- Etichetta:
- SPV Records
- Distributore: Audioglobe
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Che Ronnie James Dio sia uno dei più grandi cantanti della storia della nostra musica, è un fatto innegabile e risaputo. La sua statura artistica rimane lì incastonata in gioielli come “Rising”, “Long Live Rock ‘N’ Roll”, “Heaven & Hell”, “Holy Diver”, “The Last In Line” e via dicendo… Tuttavia il buon Ronnie non ha avuto una carriera proprio immacolata: anche lui ha avuto i suoi periodi bui, anche lui ha preso qualche cantonata e, più di una volta, ha pubblicato dischi davvero sotto tono. Questa ristampa di “Angry Machines”, originariamente datato 1996, fotografa quello che, forse, è il punto più basso della carriera del cantante. Realizzato in un momento abbastanza problematico per l’heavy metal classico, “Angry Machines” vede Ronnie cimentarsi in un lavoro più moderno e oscuro: certo, non si sta parlando di una metamorfosi radicale come quella realizzata da Alice Cooper con il suo “Brutal Planet”, ma comunque risulta chiaro come in quel periodo il cantante era più orientato verso le sonorità dei Black Sabbath di “Dehumanizer”, piuttosto che quelle epiche e fiabesche sperimentate nei Rainbow. Di per sé questa volontà di rinnovarsi non sarebbe certo negativa, purtroppo, però, il problema di “Angry Machines” risiede proprio nel songwriting che, mai come in questo caso, raggiunge momenti davvero imbarazzanti. I riff risultano pesanti, oscuri, ma fondamentalmente vuoti; il chitarrista Tracy G, in particolare, si aggiudica la palma di peggior musicista mai approdato alla corte di Dio e anche lo stesso Ronnie appare un po’ più spento del solito. Tra i pochi guizzi interessanti rimangono l’iniziale “Institutional Man”, pesante rievocazione dei Sabbath di “Dehumanizer”; la bella “Don’t Tell The Kids”, non a caso la più vicina al classico stile di Dio e “Double Monday”. Tutto il resto, bene o male, scorre senza lasciare il segno, soprattutto se confrontati ai lavori di ben altra caratura composti dal cantante nella sua più che trentennale carriera. Chissà, forse col tempo anche questo lavoro subirà quel fastidioso revisionismo che ha rilanciato molti album mediocri degli anni ’80: per adesso, se volete fidarvi del parere del sottoscritto, lasciate pure da parte “Angry Machines” e, a meno che non vogliate avere la discografia completa di R.J. Dio, rispolverate i suoi veri capolavori.