7.5
- Band: DISBELIEF
- Durata: 00:47:37
- Disponibile dal: 27/03/2020
- Etichetta:
- Listenable Records
- Distributore: Audioglobe
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Un gruppo come i Disbelief non è certo di primo pelo. Di cose ne ha viste e ne ha fatte in una carriera che, a parte un paio di capitoli interlocutori, seguita a viaggiare sull’alto livello conseguito già nei primissimi anni Duemila, quando dischi come “Worst Enemy”, “Shine” e “Spreading the Rage” ci presentarono una band forte di una spiccata personalità. L’originale carattere della proposta e la tempra viscerale del frontman Karsten “Jagger” Jäger hanno reso i Disbelief un’icona per uno specifico pubblico molto devoto, capace di andare oltre la spessa scorza death metal che avvolge il sound dei tedeschi per godere degli innovativi dettagli e dell’ampio spettro di influenze che da sempre scorrono in questa musica.
Per “The Ground Collapses” torna a fare capolino quel collaudato mix di metal estremo, sludge e melodie amare che praticamente da sempre costituisce il marchio di fabbrica della formazione. Il precedente album, il maestoso “The Symbol of Death”, aveva introdotto delle ritmiche serrate per lo più inedite per il gruppo, il tutto senza però perdere di vista quella emotività e quell’apertura alla contaminazione ad esso tanto care; il nuovo lavoro, tra noi dopo tre anni di attesa, prosegue sulle medesime coordinate, fra una innegabile impronta brutale che mutua molto da tipiche soluzioni death metal e un suono più strutturato e ricco di cupe sfumature, da cui come di consueto emergono vibrazioni e melodie che colpiscono, turbano, commuovono e portano a grandi riflessioni. È proprio quando i tempi rallentano, il groove aumenta e i registri si fanno maggiormente dilatati e angoscianti che i Disbelief riescono ad esprimere al meglio la loro personalità: ovviamente nulla da dire sul vecchio retaggio death metal e sulle analogie con Hypocrisy o Obituary che da sempre troviamo disseminate fra le loro trame, ma spunti come il triste chorus di “Killing to the Last” o canzoni eclettiche come “Colder Than Ice” o “Insane” hanno una marcia in più a livello di spessore e coinvolgimento emotivo. Questi brani, assieme alla titletrack (interessante la sua inedita accelerazione verso lidi black metal), sono probabilmente gli episodi più rappresentativi di un disco lungo, pienissimo di idee e mai noioso o auto-indulgente. È un riassunto, a tratti sorprendente come le prime volte, del percorso artistico dei Disbelief, che, pur non raggiungendo sempre i livelli di “The Symbol of Death”, ribadisce le notevoli doti di compositori e interpreti di questi sottovalutati musicisti.