7.0
- Band: DISCOMFORT
- Durata: 00:28:17
- Disponibile dal: 27/04/2018
- Etichetta:
- Epidemic Records
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Nero, profondo, drammatico. Sono i tre aggettivi che calzano meglio al primo full-length dei Discomfort, arrivati a questo traguardo dopo due EP e due split (uno assieme ai False Light, l’altro agli Slander). Inguaribili devastazioni interiori e moti di rabbia troppo a lungo repressa si sfogano in un album che parte dalle proprie paure, in esse trova il suo carburante e, infine, finisce a sua volta per incutere tantissima angoscia. Calpestiamo i territori cosparsi di cenere e afflitti dai miasmi del blackened hardcore e delle ibridazioni fra sludge e black metal, ambiti dove non è facile muoversi, a causa della saturazione del settore. I Discomfort sfuggono al rischio omologazione, pur non apportando suggestioni ‘di rottura’ a regole del gioco ben codificate.
Un vantaggio sulla concorrenza è comunque quello di essere sospinti da una carica crust/d-beat perentoria e genuina, trascinante in un vortice di assatanata isteria canzoni come “Faith” o “Deprive”. Qua si sente bene l’influenza di Tragedy e From Ashes Rise, capace di donare un’aura di terrificante desolazione sia alle schitarrate in libertà, che ai paludosi rallentamenti. Lo slabbrante e fischiante digrignare delle chitarre, nonostante la proposta punti sull’urgenza e la devastazione immediata, si contorna di sfumature caleidoscopiche in mutevoli tonalità di grigio, nero e violaceo; il riffing si addensa e si intorbida a sufficienza per provocare ansia, prostrazione, disagio, arrivando a punte di pesantezza vicine al death metal. È il caso in particolare di “Longing”, un pezzo che richiama facilmente le emulsioni di feralità e ira implacabile dei Tempest. Gli strappi e il groove di “Cold” paiono invece far combaciare gli slanci dei Converge, il math-core obeso degli Knut e un groove diabolico che non ci dispiace accostare ai migliori Pantera.
A trainare fuori dall’anonimato i Discomfort, oltre all’elasticità stilistica, sono prestazioni singole nient’affatto allineate e a dir poco viscerali. Nella tensione lacerante indotta da “Siege” e “Trapped” sono fondamentali le brusche deviazioni della batteria e un’aggressione vocale che attinge tanto dal punk nichilista quanto dal metal estremo più irrazionale. Alcune brevi e dolorose stilettate grindcore aggiungono pepe a un disco di apprezzabile concretezza, ascolto dovuto per coloro che nella musica cercano essenzialmente carnalità e nichilismo.