DISEMBOWELMENT – Transcendence Into The Peripheral

Pubblicato il 21/11/2014 da
voto
9.0
  • Band: DISEMBOWELMENT
  • Durata: 00:59:36
  • Disponibile dal: 06/05/1993
  • Etichetta:
  • Relapse Records
  • Distributore: Audioglobe

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A sentirlo oggi, “Transcendence into the Peripheral” (uno dei primi lavori ad aver segnato indissolubimente l’ascesa inarrestabile di una allora minuscola Relapse Records) sembra un lavoro delineato da una crudezza e da una barbarie incredibili, fattori insidiosi e ambivalenti, potenzialmente capaci di relegare il lavoro in un angolo di diminutiva secondarietà, viste le uscite di elevatissimo spessore (per produzione, qualità audio, bagaglio tecnico, ecc.) che vengono pubblicate oggigiorno in ambito death-doom per mano di label come Dark Descent, Nuclear War Now, Iron Bonehead, che sono la diretta discendenza e venerazione di tale disco. Poi ci si ferma a riflettere sul fatto che questo disco è uscito inizialmente nel 1993 (!!!) e allora la mente frena, si confonde e la percezione che abbiamo di esso si dissolve in uno stupore irrisolvibile. Questo non può essere un disco che ha ventun’anni. E’ semplicemente impossibile che un album così profondo, dinamico, personale e attuale sia materia di due decenni fa, quando in ambito metal succedeva tutt’altro e le maggiori correnti stilistiche erano orientate verso tutt’altri umori e basate su tutt’altre logiche. Si stenta veramente a credere all’età del disco e ad ogni ascolto la natura incredibilmente preveggente e futuristica della visione di questa band diventa sempre più ardente e lampante, e il lavoro in questione ascende allo status di eterna coronazione, come una sorta di incisione indelebile sull’epitaffio dei Disembowelment che recita “qui giace la metal band più avanti rispetto ai tempi e premonitrice di sempre”. Oltre due decenni fa, quindi, dall’altro capo del mondo, a Melbourne, in Australia, Renato Gallina, Paul Mazziotta, Jason Kells e Matthew Skarajew diedero vita all’abisso. Lontano migliaia di chilometri dai prominenti centri di influenza musicale di allora, persi in chissà quale stato di alienazione artistico-mentale, isolati da tutto e da tutti, i quattro musicisti australiani pensarono l’impensabile decidendo di suonare un death metal monumentale, strutturatissimo e tremendamente dinamico, come ai tempi poteva essere quello dei Morbid Angel, dei Grave o dei Nihilist, ma rallentato sino ad uno stato di mortifera stasi, di surreale sospensione in un oblio immobile e perenne. Forse la mancanza di un adeguato bagaglio tecnico adatto a suonare death metal tradizionale alle tradizionali velocità ha costretto i quattro ad inventarsi un modo più semplice per suonare death metal (rallentandolo); o forse l’isolamento rispetto ai trend del tempo li ha messi su un binario tutto loro… Chissà, non ci è dato sapere cosa esattamente abbia innescato questa loro tremenda esplorazione musicale (visto che la band è scomparsa da anni ormai), ma quello che sappiamo con certezza assoluta è che negli istanti in cui i quattro composero “Transcendence into the Peripheral”, i Nostri si inventarono di sana pianta un genere nuovo e allora completamente inesistente. In realtà sono molti gli elementi che fanno pensare al fatto che i Disembowelment siano arrivati lì per caso o in preda ad una sorta di delirio inconsapevole. Forse sarà quel logo della band (la “d” stilizzata con il pallino) dalle sembianze quasi hi-tech che nulla a che vedere ha con il genere, o le camicie di flannella indossate come tutti in piena esplosione grunge, o i capelli corti e le scarpe da tennis, e l’assenza dall’immagine e dall’immaginario della band di qualunque altro rimando visuale o concettuale che facesse (e faccia) pensare che fossero realmente influenzati dal death metal. Forse c’era altro dietro al loro processo concettuale e creativo, qualcosa di allarmante che non potremo mai capire, ma il dato di fondo indiscutibile è che ad oggi i Disembowelment rimangono un’enigma sotto molteplici aspetti e “Transcendence into the Peripheral” il manifesto della loro inappuntabile e preziosissima diversità. Dalle prime note di “The Tree of Life and Death” si evince infatti che il viaggio che sta per iniziare è di quelli da allucinazione pura. Da incubo vero e proprio. La chitarra feroce e squassante di Gallina disegna riff furiosi e belluini che schiacciano ogni cosa sotto una coltre di pesantezza soffocante, mentre Kells, contemporaneamente, disegna arpeggi di chitarra lugubri e mortiferi completamente privi di distorsione, corrosi di vuoto e minimalismo, emaciati e intermittenti, ma carichi di morte e sofferenza. Un binomio atroce, la metafora più somma di una morte strisciante e di una perdizione implacabile, che si manifesta anche nelle incredibili escursioni di doppio pedale forsennato di Mazziotta, stagliate contro lentissimi e pachidermici riff doom. Un combo apparentemente e completamente insensato che però, come si vedrà, farà scuola negli anni a venire. Su questa base la band ha eretto un nuovo mondo musicale, tutto basato su contrasti indicibili e su incubi ad occhi aperti fatti di coma profondo, allucinazioni e putrefazione totale. Un mondo fatto di alternanze surreali, estremi inconcepibili, chiaroscuri musicali che ancora oggi appaiono enigmatici, alienanti e distanti anni luce dalla nostra comune percezione. Velocità incontrollata e suicida, alternata, nel giro di secondi, a lentezza sepolcrale, a ritmiche tombali nelle quali il decadimento, la rovina e il tanfo di morte avvolgono tutto, creando un vuoto incolmabile capace di soffocare il respiro di ogni essere vivente. Qua si evince sin troppo bene il ruolo cruciale che ha giocato nell’immaginario dei Disembowelment il metal doomy e abbattuto dei primi Paradise Lost, dei Katatonia e dei contemporanei My Dying Bride. Una malinconia che, a mille miglia di distanza, i Disembowelment hanno preso, interiorizzato e portato alle sue più allucinanti ed estreme conseguenze. Oltre vent’anni dopo, a conferma delle leggenda nata e mai affievolitasi, ci ritroviamo con eserciti sterminati di band death e doom metal che tentano (invano) di conquistare la fortezza ormai abbandonata da due decenni dai Disembowelment, per cercare di accedere alle sue sigillate e inviolate segrete e cercar di carpire il segreto alla forza, alla preveggenza e alla visionaria genialità di quella che é diventata forse LA band più avanti rispetto ai suoi tempi nella storia del metal.

TRACKLIST

  1. The Tree of Life and Death
  2. Your Prophetic Throne of Ivory
  3. Excoriate
  4. Nightside of Eden
  5. A Burial at Ornans
  6. The Spirits of the Tall Hills
  7. Cerulean Transience of All My Imagined Shores
3 commenti
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