5.0
- Band: DISMAL
- Durata: 00:57:35
- Disponibile dal: 13/11/2020
- Etichetta:
- Dreamcell 11
- Distributore: Aural Music
Spotify:
Apple Music:
Avevamo aspettative discretamente elevate per questo nuovo capitolo discografico dei Dismal, formazione torinese ambiziosa, attiva ormai da venticinque anni, che non ama rinchiudersi in uno spazio delimitato, sempre desiderosa di espandere la propria ricerca, musicale e non solo. Le note biografiche che accompagnano l’album lo presentano come un capolavoro sinfonico, capace di unire orchestrazioni classiche, doom, darkwave, neofolk, valzer e perfino il tango. Ah, però! Sfortunatamente una volta schiacciato il tasto play del lettore, ci siamo trovati davanti sì a tutti questi elementi, ma anche ad una resa conclusiva ben lontana dalle aspettative che ci eravamo creati. Proviamo ad entrare più nel dettaglio, analizzando diversi elementi. Da un punto di vista strumentale l’album senza dubbio funziona: le orchestrazioni sono chiaramente il perno su cui ruotano gli arrangiamenti e si notano il lavoro e la cura profusi; efficaci anche le linee vocali di Rossana Landi, mentre in tutta franchezza non ci sono sembrate sfruttate le chitarre, qui utilizzate quasi solo come massa materica, utile per rafforzare il sound, ma mai veramente protagoniste della scena, una cosa che in un contesto metal può risultare comunque controversa. Se, però, la mera esecuzione non fa emergere difetti macroscopici, quello su cui “Quinta Essentia” si incaglia definitivamente è la composizione dei brani. I Dismal nel loro tentativo di concentrare tanti stili e tante influenze diverse, finiscono per costruire dei brani che non hanno una struttura, ma che risultano un semplice guazzabuglio di frammenti musicali, accostati tra loro in una ricerca spasmodica di quel senso di meraviglia che dovrebbe generare un’opera così eclettica. La sensazione, durante l’ascolto, è quella di una band che sia più impegnata a voler stupire, ammiccando continuamente alla propria bravura, che non al costruire delle canzoni che possano essere equilibrate e sensate. La cosa appare particolarmente evidente nelle composizioni più lunghe, come “Turin Black Light Act I, II, III”, che avanza senza una direzione per undici sfiancanti minuti, tra citazioni filosofiche e continue interruzioni figlie di una scrittura poco scorrevole. Capiamo e, in genere, apprezziamo la volontà di non chiudersi nella classica forma-canzone, il voler essere open minded, per citare un termine abusato, ma questo non può essere sufficiente a scusare delle composizioni così confuse da risultare più noiose che intellettualmente stimolanti. La sensazione finale, dunque, è simile a quella che si prova nel conversare con un provetto affabulatore, il quale, messo alle strette da un’evidente mancanza di argomenti, prova a circuire la sua controparte grazie ad un lessico ricercato e ad uno sfoggio di citazioni dotte. A volte questo esercizio retorico funziona, altre volte decisamente no.