8.5
- Band: DISMEMBER
- Durata: 00:42:36
- Disponibile dal: 18/02/2008
- Etichetta:
- Regain Records
- Distributore: Self
Lasciamo perdere tutti i discorsi su quale sia il migliore album dei Dismember; lasciamo perdere anche il fatto che i tempi sono cambiati da quando i nostri hanno iniziato a suonare musica; accantoniamo anche tutte le menate sull’originalità ad ogni costo. Concentriamoci invece sul nuovo “Dismember” e chiariamo subito una cosa fondamentale: quest’album spacca! Dal 2004, anno del ritorno degli svedesi in pianta stabile, la band ha sfornato dei lavori eccellenti, a partire da “Where Ironcrosses Grow” per arrivare all’album che stiamo recensendo, passando per l’ottimo “The God That Never Was”. Tantissimi fan (compreso il sottoscritto) non speravano che, dopo la fuoriuscita di Fred Estby, i Dismember potessero addirittura migliorare quanto fatto in passato, ma tant’è. La dipartita del batterista / compositore / produttore, invece di indebolire il sound, l’ha addirittura rafforzato, mostrandoci una band estremamente matura, compositivamente eccelsa e musicalmente senza compromessi. I canoni del recente passato, ovverosia l’unione tra passaggi tiratissimi ed altri pesanti e lenti, vengono rispettati, sebbene in questo omonimo lavoro sembrino trovare maggiore spazio le parti rallentate. A tal proposito è addirittura magistrale “Europa Burns”, macigno pesantissimo che fa più male di qualsiasi doppia cassa tirata allo spasimo. La melodia svedese è ovviamente anch’essa presente, soprattutto a livello chitarristico, dove in fase di assolo David Blomqvist si spreca in citazioni maideniane (uno su tutti il clamoroso guitar solo di “Under A Bloodred Sky”, doveroso omaggio alla vergine di ferro). E’ proprio la sei corde di Blomqvist stavolta l’arma in più dei nostri: supportato alla grande dalla ritmica di Martin Persson, il lead guitarist da sfogo al suo estro e ci regala perle d’altri tempi, peraltro piuttosto rare da sentire in un album death. Altra citazione speciale per Matti Kärki: questo signore tortura le proprie corde vocali da vent’anni a questa parte e nonostante ciò riesce ancora ad avere una delle voci più belle ed imitate dell’intero panorama. Non c’è davvero che dire: i Dismember si riconfermano come la band della vecchia guardia più in palla e nonostante i buoni lavori di Grave, Unleashed ed Entombed, i signori incontrastati dello Swedish death rimangono loro, con o senza Estby in formazione. Immensi.